Autolesionismo tra i giovani, casi in aumento. «Come capirlo e quando intervenire»

RIMINI. Autolesionismo giovanile, casi in aumento. Su 7 minorenni, che denunciano un disagio psicologico, uno pratica il cutting. Tagliarsi, incidere la pelle con lamette, taglierini o schegge di vetro. Una mappa a fior di pelle dove le cicatrici diventano le ramificazioni del proprio malessere. Alcuni cercano una via d’uscita per emozioni intollerabili, altri una sorta di anestesia al dolore mentale. Non manca chi si autoinfligge punizioni e chi invece brancola nel buio a caccia di follower. È il fenomeno del cutting che colpisce sempre più adolescenti nell’età in cui un corpo che cambia suscita al contempo odio e amore.
Tra gli indicatori del disagio: vestiti non adatti alla stagione, come maglie con le maniche lunghe indossate in piena estate, ma anche tendenza a isolarsi, mancato interesse verso attività un tempo amate oltre al declino scolastico improvviso. Spaventarsi o minimizzare hanno lo stesso esito: impedire un canale di comunicazione con i figli. La famiglia al contrario deve restare al loro fianco, ma anche capire quale ruolo giocare affidandosi ad esperti. Ne parliamo con la dottoressa Cinzia Giulianelli della Neuropsichiatria infanzia adolescenza dell’ospedale “Infermi” di Rimini.
Dottoressa Giulianelli, perché i ragazzi si tagliano?
«Non c’è un’unica risposta che renda conto di tutte le casistiche. Il gesto autolesivo può determinare diverse reazioni della psiche, talvolta anche un senso di sollievo dal proprio dolore mentale. In generale il taglio è il segno di un disagio più ampio e quindi occorre inquadrare il contesto di riferimento: dal carattere del paziente alla sua storia sino al retroterra socioculturale. Questo fenomeno può essere associato a altri segni meno evidenti e presenti da più tempo, quindi bisogna intraprendere un percorso di valutazione, che spesso non approda a una risposta univoca ma svela un serie di elementi su cui lavorare».
Età media e sesso prevalente?
«Pur cominciando a diffondersi anche tra i ragazzi, prevale ancora il sesso femminile. Al momento l’età media di accesso-presa in carico nel nostro servizio è attorno ai 15 anni, anche se come età di esordio il fenomeno sta aumentando anche nella fascia della scuola media».
Quali sono le aree del corpo più martoriate?
«La scelta dipende dai motivi sottostanti al self-cutting. Di solito, però, gli arti superiori sono quelli più segnati, anche perché più visibili, mentre in situazioni più complesse si prediligono zone del corpo meno esposte».
Consigli?
«I primi tagli non vanno trascurati, perciò chi se ne accorge dovrebbe condividere la scoperta con gli adulti, ma senza attivare una rete di eccessivo allarmismo. Se il ragazzo era in cerca di attenzioni, il rischio è che, ottenuto lo scopo, prosegua con maggior intensità. Contrariamente a quel che si immagina, il segnale da monitorare con più attenzione è la presenza di lesioni non esposte che possono implicare il bisogno di “non mostrarsi subito”. Da osservare anche la tendenza a isolarsi, la mancanza di interessi verso attività un tempo amate oltre a un declino scolastico improvviso».
Quanti casi si sono registrati a Rimini nel 2023? C’è un aumento rispetto agli anni passati?
«Il disagio giovanile è aumentato negli anni e questo fenomeno purtroppo non fa eccezione. Almeno un episodio è riscontrabile in 7-8 ragazzine che giungono al servizio per un disagio psicologico».
Autostima e cutting: esiste una relazione?
«Esiste un legame senz’altro molto stretto e il punto cruciale resta inquadrare il contesto per intercettare altri elementi di fragilità in minori già vulnerabili».
Come aiutare un figlio che si taglia?
«È essenziale costruire una rete di sostegno. Da solo, il genitore rischia di invadere uno spazio che il ragazzo vuole mantenere segreto».
Tagliarsi porta a tentativi di suicidio?
«Non si può semplificare. Un gesto autolesivo non è sempre l’anticamera del suicidio, ma occorre varare un percorso personalizzato. Se la situazione peggiora, l’adolescente può mostrare altro tipo di disturbo».