“Mi raccomando, uniti sempre”. Che cosa intendesse dire con quel messaggio inviato alla collega all’indomani della morte di una paziente, si presta a facili interpretazioni; e ha a che fare con il motivo per il quale un infermiere 53enne cervese è a processo per esercizio abusivo della professione medica e omicidio colposo. La destinataria dell’sms era infatti l’unica persona ad averlo visto preparare e somministrare per via endovenosa un mix Valium e Talofen. Farmaci di cui non vi era menzione nella cartella clinica di una 66enne cervese ricoverata nel reparto di Lungodegenza dell’ospedale di Cervia nell’autunno del 2016; segno dunque che nessun medico li aveva prescritti, né tantomeno incaricato il personale sanitario di somministrarglieli. Eppure ne erano emerse tracce innegabili dall’autopsia effettuata dopo la sua morte, avvenutala sera stessa, il 26 settembre. Ieri nel processo a carico dell’infermiere, è stata chiamata a deporre davanti al giudice Andrea Chibelli proprio l’infermiera che la notte del decesso avvisò il medico di guardia e poi riferì ogni cosa anche alla coordinatrice infermieristica.
L’iniezione prima di morire
La ragazza, originaria di Forlì, all’epoca aveva 27 anni ed era al primo incarico in un ospedale. C’era lei di turno nel settore in cui era ricoverata la 66enne, «paziente obesa e diabetica, ma lucida e in attesa di essere dimessa di lì a poco». Quella sera la degente non riusciva a dormire. «Le somministrai una compressa di Halcion (
un farmaco per trattare l’insonnia, ndr), previsto dalla cartella clinica, ma continuava a non prendere sonno». In quel frangente il collega sarebbe entrato in stanza: “
Vuoi dormire? Se vuoi ti aiuto io”, le avrebbe detto prima di andare in guardiola a preparare la siringa. «Mi opposi, gli dissi di aspettare, lo seguii, lo vidi aspirare la fialetta di Valium e tornare nella stanza, praticando l’iniezione in bolo, nel catetere della paziente. Ero preoccupata - ha ricordato in aula - ma la sua sicurezza mi tranquillizzò».
Il decesso
Erano ormai passate le 22.30 quando in reparto si accorsero che la 66enne era deceduta. «Lo vidi rientrare in stanza e andai anch’io, sorprendendolo tentare di sentirle il polso carotideo». La signora, tuttavia era ormai morta, «pallida, con la bocca semiaperta e i parametri vitali irrilevabili». L’unica cosa da fare era chiamare il medico di turno, che constatò subito il decesso mentre ancora l’infermiere «stava praticando un blando massaggio cardiaco».
Le voci sull’infermiere
A detta della coordinatrice infermieristica dell’epoca - su domanda del difensore dell’imputato, l’avvocato Massimo Martini - il 53enne sarebbe stato «un perfetto infermiere, preparatissimo, attento ai bisogni dei pazienti». Un professionista con anni di esperienza, insomma, eppure con qualche “macchia” nella carriera, messa in evidenza dal pm Angela Scorza, titolare del fascicolo. La stessa dirigente all’epoca l’aveva definito «un po’ caotico», ricordando episodi di clamorosi ritardi di oltre 3 ore perché «si era addormentato e non rispondeva al telefono». Le domande degli avvocati delle parti civili, Alessandra Fattorini per i familiari della vittima e Simone Balzani per l’Ausl, hanno riportato a galla certe voci che circolavano sulle presunte trasgressioni dell’infermiere: «Si diceva che l’avessero visto in condizioni alterate durante il turno, lo descrivevano come uno che sbolognava le proprie incombenze». Poi la più sospetta tra le circostanze notate dai colleghi, menzionata ieri in aula: «Quando lui faceva la notte, i pazienti la mattina erano tutti più tranquilli».