Ravenna, niente cittadinanza per una bravata: tecnico marocchino vince al Tar

Quella bravata di 14 anni fa rischiava di costargli molto. Non solo i guai giudiziari che ha passato all’epoca, ma anche la cittadinanza italiana che aveva richiesto dopo una vita a lavorare a Ravenna. Il protagonista della vicenda è un marocchino poco più che trentenne. Nel 2011, a vent’anni anni, dopo aver ammaccato l’auto del padre ne denunciò falsamente il furto per non incorrere nelle ire del genitore. La bugia venne però alla luce e lui si ritrovò in tribunale per la denuncia farlocca. Risultato: nel 2013 ha patteggiato 5 mesi e 10 giorni, con pena sospesa.
Una vicenda che sembrava sepolta, tanto che nel 2019 il Tribunale ravennate aveva dichiarato estinto il reato. Era però tornata alla luce nel 2021 quando il Ministero dell’Interno ha motivato con questa condanna il proprio diniego alla richiesta dell’uomo di ottenere la cittadinanza italiana. Domanda peraltro inoltrata nel 2016.
Contro il “no” del Governo l’uomo ha presentato ricorso al Tar del Lazio che gli ha dato ragione, intimando al Ministero di rivalutare la posizione del marocchino.
Il Tribunale amministrativo ha evidenziato che l’amministrazione ha basato il diniego esclusivamente sulla condanna, senza considerare il tempo trascorso, l’età del richiedente al momento del fatto e l’assenza di ulteriori precedenti penali. Inoltre, i giudici hanno sottolineato che il ricorrente ha dimostrato un percorso di integrazione solido, avendo ottenuto qualifiche professionali e svolto attività lavorative in Italia. L’uomo ha intrapreso sul territorio «un percorso formativo soddisfacente», ottenendo specializzazione tecnica superiore, nell’ambito della realizzazione di tecniche di disegno e progettazione industriale. In seguito, ha frequentato il corso di formazione professionale per divenire operatore addetto al Cnc, oltre ad aver preso parte al corso di formazione professionale “Saldatura Filo e Tig”. Ha lavorato e lavora da anni in aziende radicate nel territorio. Secondo il Tribunale il Ministero avrebbe dovuto effettuare una valutazione complessiva della condotta di vita del richiedente, invece di applicare un criterio automatico. Lo Stato «ha l’onere rafforzato di motivare le ragioni di gravità del fatto posto a base della condanna che la inducono a ritenere il proponente non idoneo a divenire cittadino». Inoltre «occorre dar conto della complessiva posizione sociale, familiare e lavorativa dello straniero, valutando il comportamento quanto alle concrete modalità dei fatti contestati».
La sentenza obbliga ora il Ministero a rivalutare la richiesta di cittadinanza, tenendo conto di tutti gli elementi favorevoli al richiedente. Inoltre, il Tar ha condannato l’amministrazione a risarcire le spese legali, pari a mille euro.