Ravenna, migliaia di multe cancellate da un agente: “Una ripicca perché era stato trasferito”

Ravenna

Hacker per vendetta. Questo il movente, secondo l’accusa. Lui, agente operativo in forza alla polizia locale di Ravenna, dietro una scrivania non voleva starci. Così, destinato a un incarico d’ufficio, si sarebbe messo in malattia e dal computer di casa avrebbe eliminato apposta centinaia, anzi migliaia di mail dall’archivio della polizia locale, contenenti i dati dei conducenti multati negli ultimi cinque anni. Un paio di clic o poco più, sufficienti a fare tabula rasa delle comunicazioni con le quali i proprietari dei veicoli sanzionati certificavano al Comune le generalità di chi era alla guida, hanno paralizzato per alcuni giorni il sistema funzionale alla decurtazione dei punti dalle patenti.

Nei confronti dell’agente in forza al comando della polizia locale già dal 2017, si è aperto il processo che lo vede accusato di distruzione dei dati informatici presenti nel sistema digitale di Palazzo Merlato. Rinviato a giudizio a Bologna (tribunale competente per questa tipologia di reati) sta affrontando ora a Ravenna il dibattimento davanti al giudice Piervittorio Farinella. Processo che si è aperto con la deposizione del comandante della polizia locale, Andrea Giacomini.

L’accesso al sistema da casa

I fatti contestati risalgono al febbraio del 2023. L’agente era in malattia quando dal giorno alla notte sono sparite dal database tutte le mail inviate nel corso dell’anno e tutte le analoghe comunicazioni degli anni precedenti, fino al 2019. E’ bastato un controllo tecnico da parte dello studio informatico che gestisce il sistema per risalire al computer che aveva effettuato l’operazione. Quello personale del dipendente, appunto. Era anche emerso che per cancellare quella mole di dati, era stato necessario muoversi in due distinte modalità, selezionando manualmente i messaggi nella cartella della “posta in arrivo” e successivamente andando nelle vecchie mail archiviate.

Si era rivelata una mera azione di disturbo, «senza alcun danno per l’Ente», ha puntualizzato in aula il comandante. Era basto infatti interrompere l’attività dell’ufficio «per un paio di giorni», per consentire allo studio tecnico di recuperare tutto.

Nonostante ciò, il Comune non ha digerito lo “scherzo” e si è costituito parte civile, rappresentato dall’avvocato Alessandra Ponseggi.

I poteri di cancellazione

Un mero errore involontario. Questa la tesi difensiva del lavoratore, tutelato dall’avvocato Marina Prosperi. Tutta colpa a, suo dire, della scarsa formazione circa le possibilità di scrittura e cancellazione attribuitegli dalle nuove credenziali ricevute con il trasferimento. L’agente infatti poteva accedere e operare all’interno del sistema informatico della polizia locale. D’altra parte non gli viene contestato alcun accesso abusivo. Ma secondo il comandante «era stato adeguatamente formato dai nuovi responsabili circa le proprie mansioni. Era impossibile confondere la casella condivisa con la propria». E riguardo i poteri di cancellazione delle mail dell’ufficio - ha aggiunto Giacomini nel corso della deposizione - «si dà per scontato sappia che non è concesso eliminare le cartelle condivise, o che, per assurdo, non si debbano buttare nel cestino i faldoni cartacei dell’ufficio».

Per la difesa, invece, l’episodio metterebbe in luce la vulnerabilità del sistema in uso a Palazzo Merlato, che pecca di scarsa protezione dei dati custoditi dall’Ente. Una questione sollevata sentendo come teste un esperto di cyber security. «In caso si utilizzino identità condivise, è rischioso - ha spiegato l’informatico - poiché non tutti gli utenti hanno consapevolezza di utilizzare cartelle comuni. Per questo di solito viene rimossa la possibilità di scrittura».

L’arma revocata

Sul piatto dell’accusa pesano però i trascorsi dell’agente. Il trasferimento in ufficio era stato deciso infatti come provvedimento disciplinare per due episodi di omessa custodia dell’arma in dotazione, con altrettanti decreti penali di condanna. In un primo caso, l’aveva lasciata nell’armadietto anziché riporla in armeria. Nel secondo, l’aveva messa nello zaino dimenticato al comando e controllato dal personale trovando con sorpresa la pistola all’interno.

Da qui l’accusa. Finito, in polemica, davanti a un computer, avrebbe impugnato mouse e tastiera per vendicarsi del torto.

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