Ravenna, il preside del Liceo Artistico: “La scuola da sola non basta se gli adulti si comportano come i figli”

Ravenna

I ripetuti episodi di violenza giovanile aprono interrogativi. Del fenomeno ne parla il dirigente scolastico del liceo artistico Nervi Severini, Gianluca Dradi.

Professor Dradi, cosa pensa di questa esplosione di violenza da parte degli adolescenti?

«Come prima cosa vorrei osservare che il fenomeno dell’aumento di episodi di violenza non è solo giovanile, basti pensare alle tante aggressioni a danno di infermieri e medici nei pronto soccorso, come alle aggressioni - da parte di genitori - dei docenti e dirigenti scolastici. Spiegare questo fenomeno non è semplice, ma penso abbia a che fare con quel tipo di organizzazione sociale sintetizzata dalla famosa frase di Margaret Thatcher, secondo cui “non esiste la società, esistono solo gli individui”.

Cosa intende dire?

«Quel modello di società liberista e individualista è prevalso e una delle conseguenze è che è venuta meno la funzione di indirizzo dei comportamenti e di contenimento emotivo che svolgevano i cosiddetti corpi intermedi, cioè associazioni, parrocchie, sindacati. Nella società degli individui, gli stessi sono liberi dall’obbligo di seguire le regole date da queste organizzazioni, ma anche più soli. E quando non si sanno come affrontare i problemi, quando si avverte un’ingiustizia e non ci sono più soggetti che mediano, è più facile che ci si esprima con la rabbia e la violenza».

Ma c’è anche uno specifico giovanile?

«Il fenomeno, ovviamente, è anche giovanile e qui spesso si resta disorientati dall’insensatezza di certi fenomeni, come, per fare un esempio, quello delle risse organizzate tramite i social. Sconcerta anche il fatto che molti di questi episodi sono accompagnati da un pubblico che assiste e incoraggia, che riprende col cellulare per poi postare sui social. Chiaramente tutto questo è un indice di malessere, di immaturità relazionale, di incapacità di gestire e riconoscere le proprie emozioni».

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E la scuola cosa può fare?

«In primo luogo vorrei dire che è ora di smettere di delegare tutti i problemi educativi alla scuola. La scuola deve occuparsene, ma se la società è intrisa di violenza (a cominciare dal linguaggio della politica, ma anche alla musica trap, ai videogiochi), se le famiglie sono sempre più “adultescenti” (cioè un po’ adulte e un po’ simili ai figli che dovrebbero educare), non si può pensare che la scuola rimedi da sola, magari con le lezioni di educazione civica».

Il governo quest’anno è intervenuto con una legge che introduce nuovi reati a protezione del personale scolastico e con una riforma, in via di approvazione, che rafforza il ruolo del voto di condotta. Che ne pensa?

«Sono d’accordo con quelle norme, perché i vandalismi, gli atti di bullismo, gli atti di violenza vanno repressi. Al tempo stesso, però, occorre essere consapevoli che i problemi non si risolvono semplicemente con risposte di ordine pubblico».

E come allora?

«L’esperienza scolastica deve essere l’occasione principale per imparare a vivere con gli altri: penso sia utile creare un ambiente aperto, inclusivo, non ansiogeno, dove gli studenti possono trarre stimoli dal contatto con le diversità culturali, religiose, di orientamento. E dove vi sia attenzione alla promozione della prosocialità, che può avvenire con progetti di peer education, con la didattica cooperativa, con l’incentivare la donazione del sangue e le esperienze di volontariato. Però, ribadisco, la scuola può poco se questo ambiente che ho appena descritto resta un’eccezione rispetto all’esperienza di vita complessiva».

Come giudica i fenomeni di malamovida visti quest’estate sul litorale?

«Leggendo i giornali si vede un fenomeno giovanile presente nella società ma non dentro le scuole. Dalle cronache si apprende di studenti che aggrediscono i professori, ma si tratta di fatti ancora abbastanza isolati. Parliamo di una generazione che percepisce un’assenza di futuro, ed è del tutto schiacciata sul presente. Se questo non piace scoppia la rabbia».

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