Ravenna, già pronte le gru per abbattere le torri Hamon, ma Italia Nostra diffida: “Prima l’autorizzazione paesaggistica”
Italia Nostra ha indetto una manifestazione per salvarle, ma sono già partiti i lavori per abbattere le torri Hamon. Questa mattina una gru è stata avvicinata al simbolo dell’archeologia industriale ravennate per cominciare, presumibilmente dopo la sosta pasquale, i lavori per radere al suolo i manufatti resi celebri dal film di Antonioni “Deserto Rosso”. In quel caso la manifestazione indetta per il prossimo 7 aprile potrebbe rivelarsi inutile.
Italia Nostra non si arrende: “Prima l’autorizzazione paesaggistica”
Italia Nostra però non si arrende e in una nota invia “una richiesta per poter accedere alle torri Hamon ex Sarom e visionare, anche mediante tecnici abilitati, il loro stato effettivo. Si tratta di strutture con intelaiatura solidissima di armature a tondini e reti di ferro e costituita da blocchi a base di cemento: difficile pensare che, benché vetuste, siano a rischio crollo. E se anche qualche frammento cadesse, questo non giustifica la loro demolizione, visto che il progetto di impianto fotovoltaico non sarebbe di pubblica fruizione, mentre l’area in cui dovrebbe sorgere è vastissima, per cui l’interferenza irrilevante.
Invia inoltre diffida ad Autorità Portuale, Comune, Soprintendenza ed ENI a procedere alla demolizione almeno finché non sarà resa pubblica l’autorizzazione paesaggistica, in questo caso certamente necessaria in quanto l’intervento modifica in modo sostanziale il paesaggio. L’autorizzazione esiste e com’è motivata?
Cancellare strutture di questo genere, che altrove vengono riqualificate e riadattate per usi culturali, sociali e turistici, impoverisce il nostro territorio, e desta sgomento che a caldeggiare la demolizione siano amministratori pubblici quali il sindaco e il presidente dell’Autorità Portuale: non sa, quest’ultimo, come agiscono i suoi colleghi verso il patrimonio industriale storico? Ricordiamo, solo ad esempio le operazioni svolte giusto una settimana fa di messa in sicurezza dello storico pontone Ursus a Trieste, la cui tutela vede in prima linea, oltre ad Italia Nostra, anche la competente Autorità Portuale. Attrazioni e risorse che, se opportunamente comprese e valorizzate, portano economia, rilancio internazionale, turismo, cultura, arricchimento sociale”.
“La nostra Autorità Portuale - continua la nota - acquista da Eni con soldi pubblici per quasi 8 milioni di euro, l’area, non prima di aver fatto demolire le torri, che invece, se fossero di proprietà pubblica, sarebbero già vincolate per legge, in quanto costruite oltre 70 anni fa. Presumiamo che il presidente non le abbia mai viste da vicino e non abbia potuto apprezzare la struttura che si appresta a far abbattere, straordinaria dal punto di vista spaziale, strutturale ed evocativo, altrimenti non si spiega il suo atteggiamento così poco consapevole. Un po’ come probabilmente mai visitò il cantiere Berkan B, dove fu rinnovata proprio da AP la concessione - retroattivamente - per ben tre volte, mentre la nave, vistosamente spezzata, poi sarebbe colata a picco, con la costosissima rimozione da circa 15 milioni di euro a carico dei cittadini – visto che egli parla di “economia” - ; rimozione effettuata in concomitanza col procedimento penale avviato per l’affondamento, e che forse, senza la denuncia e come ammesso anche dal Giudice, forse non sarebbe mai stata effettuata. Ravenna ha bisogno di amministratori sensibili e di profonda cultura per governare un territorio fragilissimo e molto ricco, già violentato e impoverito da tanti, lunghissimi e pesanti sfregi ambientali, urbanistici ed architettonici che, di conseguenza ne impoveriscono anche il tessuto sociale. E’ noto che città e paesaggi “brutti” e inospitali peggiorano la qualità della vita, e questo si traduce anche in costi economici per la collettività.
Italia Nostra chiede inoltre, tramite accesso atti, di visionare le valutazioni del Comune di Ravenna e di comprendere come da un lato i terreni e le torri sembrano già di proprietà pubblica (e quindi sottoposte a vincolo ope legis, salvo pronunciamento della Soprintendenza in verso contrario, ma che ci deve essere), dall’altro è ENI che si occupa della demolizione. Passaggi poco chiari per cui rischia a brevissimo di farne le spese il nostro patrimonio comune di una Darsena da recuperare che non vedrà mai la luce”.