Ravenna, false opere di Nino Caffé. L’archivio parte civile contro un venditore ravennate

Una partita di quadri falsi, un gallerista sotto accusa e due parti offese: l’acquirente, che lamenta di essere stato truffato rischiando a sua volta guai con la giustizia, e l’associazione che vuole tutelare il lascito del compianto “pittore dei pretini”. Ecco gli ingredienti del processo che riguarda tre opere attribuite a Nino Caffè, poi rivelatesi false: imputato un ravennate oggi 76enne, rinviato a giudizio per truffa e contraffazione di opere d’arte. Ieri si è aperto formalmente il processo davanti al giudice Cosimo Pedullà con la richiesta di prove presentata dalle parti. Contro l’imputato assistito dall’avvocato Valeria Marsano del foro di Roma, si sono costituiti parte civile l’Archivio Nino Caffè, rappresentato dall’avvocato Marco Baldesi del foro di Firenze, e l’acquirente, un ravennate 51enne assistito dall’avvocato Giacomo Scudellari.
Un pittore bersaglio dei falsari
Il caso dei falsi Caffè non è raro. E’ anzi un fenomeno su scala nazionale. Ed è facile capire come mai stia così a cuore all’associazione che vuole tutelare la memoria dell’artista abruzzese scomparso nel 1975. Non è solo questione di catalogo; in ballo ci sono anche le quotazioni. Non parliamo di cifre astronomiche, ma di alcune centinaia di euro, che fanno di Caffé un artista comunque conosciuto, seppure non annoverato tra i grandi maestri del Novecento. Tra i tratti distintivi ci sono i soggetti raffigurati nelle sue tele naïf. Proprio come i tre dipinti acquistati nel 2021 dallo sventurato collezionista rispondendo a un annuncio su eBay: “Pretini tra le nuvole”, “Suorine con cane”, “Pretini spaventati”. L’acquirente si era pure informato sull’affidabilità del venditore, apprendendo che era considerato un esperto di Caffè. Per lo scambio si erano dati appuntamento a Ravenna, accordandosi per 500 euro in contanti, più due ricariche postepay per un totale di altri 250 euro. I quadri erano firmati, datati e risalenti apparentemente agli anni ‘60, con tanto di scheda che ne riportava la tecnica a olio su tavola.
La scoperta dei falsi
Ad accorgersi della contraffazione è stata una casa d’aste di Ferrara. Tra aprile e maggio dello stesso anno, il nuovo proprietario aveva infatti ceduto le tre opere. Da qui l’inizio dei guai. Chiuso l’affare, il 51enne si era visto recapitare una richiesta di risarcimento di 1.500 euro a firma del legale dello stesso istituto d’aste, con l’accusa di aver rifilato opere false. Denunciato e finito sotto indagine per ricettazione, l’ignaro collezionista era stato interrogato dai carabinieri del Nucleo tutela patrimonio culturale di Bologna, che gli avevano pure perquisito casa. A quel punto era stato lui a sporgere querela contro il venditore, per l’ennesima trappola dei falsi Caffè.