Ravenna, “Di porta in porta”: chef per salvare la pesca romagnola
L’ultima volta accadeva nel 2019, poi la pandemia, l’alluvione, insomma la manifestazione “Di porta in porta” ideata da Chef to chef Emiliaromagnacuochi e Ravennafood dopo quell’esordio con il botto era stata frenata dalle emergenze continue, ma ora è più viva che mai. Lo scorso week end sono infatti state decine le persone, nonostante il maltempo, che hanno partecipato ai tour organizzati da Trail Romagna alla scoperta delle porte storiche e alle antiche osterie e circoli del Borgo San Rocco dove sei chef erano presenti con i loro piatti. «Cercheremo di mantenere vivo questo format perché ci consente di raccontare un aspetto importante della città, della sua storia e dei suoi sapori -spiega Michele Ceccarelli, segretario di Cheftochef - questo sarà possibile grazie all’impegno dei nostri soci chef e produttori. La volontà è anche quella poi riprendere prima possibile anche il progetto dedicato al mare “di Porto in porto”».
Dal mare alla tavola
Dalla cucina passa infatti sempre di più il dibattito sull’ambiente e la produzione delle materie prime. Il mare e la pesca sono uno di questi ambiti. Cambiamento climatico, specie aliene infestanti, per la pesca romagnola la sfida si è fatta sempre più dura e spesso il pescato del nostro mare “si perde” dalla costa alle nostre tavole. Proprio dalle scelte consapevoli della ristorazione e dei consumatori può arrivare un aiuto a superare la crisi. “Il pesce dell’alto Adriatico al termine del periodo di fermo pesca” era il tema del momento di confronto, coordinato dal gastronomo ravennate Franco Chiarini nell’ambito dell’evento realizzato da Trail Romagna e l’associazione CheftoChef, in occasione del ritorno di “Cibovagando - di Porta in Porta”. «Oggi sono circa 600 le imbarcazioni, per la maggior parte da posta quindi di piccola pesca artigianale, che compongono la flotta emiliano romagnola, 20 anni fa erano il doppio», ha esordito Piergiorgio Vasi, responsabile del settore Valorizzazione delle attività di pesca e di acquacoltura della Regione. L’ultima stagione estiva è stata poi particolarmente critica per l’acquacoltura regionale, per l’invasione del granchio blu nella parte alta al confine con il Veneto e per le alte temperature del mare in generale. «La Regione ha stanziato altri 2 milioni di euro per l’emergenza del granchio blu, ma se i pescatori di Goro e fino a Ravenna sono almeno 1700 si capisce bene che non è sufficiente a rifondere il danno» ha aggiunto Vasi. E’ emerso chiaro che sarà necessario un approccio più integrato e collaborativo tra le istituzioni, i pescatori e i tecnici per individuare soluzioni che possano garantire la sopravvivenza del settore pesca, che rappresenta un’economia ma è anche un tratto identitari oe culturale della costa romagnola e ravennate.
Giuseppe Prioli, presidente del Consorzio mitilicoltori dell’Emilia-Romagna, nel confermare le difficoltà dettate dal clima, ha sottolineato il valore della cozza romagnola come simbolo della qualità del nostro mare: «Le cozze nostrane, comprese quella selvaggia di Marina di Ravenna, sono particolarmente apprezzate non solo sul territorio nazionale, ma anche all’estero, grazie alle loro proprietà organolettiche. Da Goro a Ravenna, il prodotto acquisisce caratteristiche diverse e uniche, a seconda della salinità e della presenza di acqua dolce. Ne produciamo mediamente 22mila tonnellate all’anno, non piccoli quantitativi, ed è un allevamento a basso impatto ambientale». Per andare oltre la stagionalità, il consorzio stesso, appoggiandosi alla Casa del pescatore di Cattolica ha messo a punto una linea di conservati da proporre alla ristorazione. Dalla ristorazione arriva infatti il primo sostegno alla pesca. Omar Casali, chef del ristorante Maré di Cesenatico, ha sottolineato: «La stagionalità dei nostri menù è fondamentale. La pesca non è solo una fonte di approvvigionamento - ha affermato Casali - ma una narrazione delle radici e dell’identità del territorio. Lavorare con i prodotti locali significa rispettare i cicli naturali e le stagioni. Se il nostro pesce resta invenduto si fa male al lavoro di molte persone».