Mazzette per gestire le salme tra Faenza e Lugo, in 37 verso il processo

Ravenna

In tutto 37 imputati tra addetti alle camere mortuarie oltre ai titolari e responsabili di 17 agenzie di onoranze funebri, praticamente tutte quelle della provincia. Devono rispondere tutti di associazione per delinquere. Questa l’accusa principale che introduce l’avviso di conclusione delle indagini preliminari notificato a tutti gli indagati nell’ambito dell’inchiesta sul racket dei funerali. In tutto 131 pagine d’accusa a firma del procuratore capo Daniele Barberini, che contesta a vario titolo anche la corruzione per le mazzette elargite agli addetti degli obitori di Faenza e Lugo per avere corsie preferenziali sulla gestione delle salme e dei funerali. Trascorso oltre un anno dalle prime misure fra carcere e interdizioni all’esercizio dell’attività imprenditoriale, per gli indagati si avvicina il giorno in cui dovranno comparire di fronte al giudice.

I ruoli

Tra i sodali delle pompe funebri disposti a pagare sottobanco per risparmiare sulla vestizione delle salme e avere corsie preferenziali sul business dei funerali, c’era chi lo chiamava “Presidente”. Un appellativo, quello captato dalle intercettazioni dei carabinieri del Reparto operativo Nucleo investigativo di Ravenna, che secondo l’ordinanza di custodia cautelare vergata nel novembre del 2022 dal giudice per le indagini preliminari Andrea Galanti, riflette il ruolo apicale dell’unico fra gli addetti alle camere mortuarie a suo tempo finito in carcere. Si tratta di un 58enne, finito al centro dell’indagine insieme ad altri quattro colleghi (per loro furono disposti gli arresti domiciliari) e a una lunga lista di impresari.

La prassi della spartizione

La routine proibita vedeva gli addetti ai lavori sborsare una quota, dai 20 ai 100 euro agli operatori sanitari per la vestizione delle salme, servizio non consentito da regolamenti e norme sia interne sia stabilite dal servizio sanitario regionale, in vigore fin dal 2018. Era chiaro a tutti che non fosse possibile farlo, eppure quella era la prassi. “Non me ne frega un c... - questa l’esclamazione intercettata del “Presidente” - Io ho bisogno di soldi! Altro che pensione, va là, lascia stare!”.

La spartizione del denaro pare fosse chiara a tutti. Da un lato gli operatori sanitari tenevano un comune fondo da suddividere in base al numero di vestizioni fatte, dall’altro le 17 agenzie di pompe funebri compiacenti aggiornavano il bilancio di quanto già pagato. Come i 5.470 euro elargiti nel 2019 da un’unica impresa, citati nel corso di una conversazione tra il “Presidente” e un collega, raccomandandosi che “le imprese son da lasciar stare, fanno il c... che vogliono”.

Sulla gestione delle “salme libere” l’accordo consisteva nel fornire alle imprese “amiche” le indicazioni necessarie per contattare i parenti dei defunti, per accaparrarsi le rispettive funzioni funerarie. La scelta avveniva solitamente sulla base della geolocalizzazione della salma, una sorta di competenza territoriale. A prendere le distanze da questo andazzo, va ricordato, era stata l’impresa Zama, dalla cui segnalazione è partita l’intera indagine.

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