Maltempo in Romagna, il geologo: «Allargare gli argini contro la violenza delle acque»

Ravenna
  • 20 settembre 2024

La Romagna è tornata sott’acqua. Dopo 16 mesi, il territorio ha rivissuto un incubo che si sperava non si ripetesse. Ci si chiede come sia stato possibile e se il destino di questa terra sarà quello di essere colpita, con drammatica frequenza, da eventi devastanti.

Paride Antolini, presidente dell’Ordine dei Geologi dell’Emilia Romagna, in una giornata drammatica, segnata dalla rottura degli argini a Traversara e dagli allagamenti nel Faentino e nel Lughese, lancia un appello: «Bisogna ridare spazio ai fiumi. È ora di prendere decisioni radicali che potrebbero essere anche impopolari. Se non vogliamo soccombere a eventi estremi, che purtroppo stanno diventando sempre più frequenti, occorre cambiare modello. Gli argini attuali risalgono a molto tempo fa, li abbiamo ereditati, corrono per migliaia di chilometri e non sono stati realizzati seguendo le tecniche moderne e nemmeno per rispondere alle precipitazioni eccezionali di questi giorni. Il clima ci sta presentando il conto. Abbiamo vissuto un’estate caldissima, con temperature del mare vicine ai 30 gradi e notti con temperature minime al di sopra dei 20 gradi».

«Tempo di agire»

Il presidente dei geologi dice che è tempo di agire: «La cosa peggiore che possa succedere ora, è che la politica si divida e si perda di vista l’obiettivo principale: mettere in sicurezza il territorio e i corsi d’acqua. Non dobbiamo affidarci a argini sempre più alti, dobbiamo dare più spazio ai corsi dei fiumi. Allarghiamo gli argini e abbassiamoli, in questo modo avremo correnti che prendono meno velocità e conseguenze meno drammatiche. Il costo di questi interventi è alto, ma sicuramente molto inferiore ai danni che subiamo con le alluvioni».

No alle scorciatoie

Antolini invita a non seguire facili scorciatoie: «Le azioni necessarie per mettere in sicurezza il territorio richiedono anni, ma occorre programmarle. Ora serve il coraggio di dirsi le cose in faccia, il coraggio, per chi ha sempre rifiutato l’idea del cambiamento climatico, di ammetterlo, il coraggio di adottare azioni drastiche. Di fronte a quanto avviene in queste ore, il lavoro di un anno e mezzo sembra vanificato, troppo vicino all’alluvione del maggio 2023. L’intensità dell’evento non ha lasciato il tempo per realizzare i complessi interventi necessari. Di fronte a fenomeni del genere c’è poco da fare, non bastano le casse di espansione, non basta abbassare le golene e adeguare le sezioni, occorre dare spazio all’acqua. Sappiamo che c’è un folto gruppo di pensiero che invoca continuamente come un mantra la pulizia dei fiumi e dei fossi come operazione necessaria e sufficiente per affrontare il problema, soluzioni che con queste precipitazioni sono paragonabili alle cure omeopatiche».

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