L’allarme dei magistrati: «Appetiti criminali sugli appalti per la ricostruzione post alluvione»
Ci sono gli occhi delle mafie puntati sui soldi in arrivo per la ricostruzione post alluvione in Romagna. L’allarme è messo nero su bianco nella relazione per l’apertura dell’anno giudiziario firmata dal procuratore generale di Bologna, Paolo Fortuna e dall’avvocato generale dello Stato, Ciro Cascone.
Un report che apre un faro «su una criminalità organizzata che - scrivono i due relatori - ha assunto in questi anni caratteristiche più complesse e articolate». Una presenza mafiosa, quella in regione, in eterna evoluzione all’interno di una zona grigia dove, secondo i magistrati «orbitano professionisti e imprenditori con cui i gruppi criminali stringono relazioni a doppio filo al fine di sfruttare appieno le diverse opportunità offerte da un territorio ricco, come appalti, concessioni, acquisizioni di immobili o di aziende». Stando al report della magistratura sono due le tipologie di infiltrazioni in corso.
«Tra Piacenza e Modena - si legge nella relazione - è marcata la presenza collegata alla ‘ndrangheta cutrese, ma anche quella di stampo camorristico (casalese)», mentre in Romagna «la criminalità organizzata è di stampo prevalentemente ‘ndranghetista e cerca di insinuarsi nel tessuto economico legale con l’acquisizione di esercizi commerciali e hotel».
All’orizzonte, però, la magistratura locale vede nuove insidie: soprattutto quelle legate al Pnnr e alla ricostruzione post alluvione. Il tutto sulla falsa riga di quanto successo in Emilia per il dopo sisma nell’edilizia, un settore definito dai magistrati come quello «risultato maggiormente vulnerabile alle infiltrazioni della criminalità organizzata». E sul punto specificano: «il ricorso alla normativa commissariale emergenziale per la ricostruzione post sisma e, più recentemente, post alluvione - continuano il pg Fortuna e l’avvocato generale dello Stato Cascone - ha attirato non pochi appetiti criminali».
“La febbre del cibo”
Sempre in Romagna un altro settore a rischio, osservano i due magistrati, è quello legato al turismo e alla ristorazione, tradizionalmente esposto a fenomeni di riciclaggio.
E non a caso tra le imprese colpite da interdittiva antimafia (153 nel periodo preso in esame) cresce il numero di quelle attive in locali «fittiziamente intestati a prestanome, ma collegati a elementi espressione della ‘ndrangheta».
Secondo Fortuna e Cascone a segnare un prima e un dopo nel mondo della ristorazione è stata la pandemia, tanto da definire questa frenetica ricerca da parte delle mafie di attività da gestire come “La febbre del cibo”. «Si tratta di locali - spiegano - che a volte si ingrandiscono, acquisendo altri spazi, oppure chiudono per lavori di ristrutturazione di pregio. Attività per cui, evidentemente, il rischio d’impresa è nullo. Locali con vetrine perfette, prezzi mai troppo alti, dipendenti ben pagati, come fornitori e affitti. Praticamente senza nessuno di quei problemi che attanagliano piccoli e grandi ristoratori». Paradossalmente aziende troppo sane per essere vere.