Il testamento falsificato del bancario e l’ex consigliere a processo: «Pini rivoleva i soldi da Bazzoni»

Ravenna

Assente dall’aula Gianguido Bazzoni. L’ex consigliere regionale di Forza Italia ha deciso cioè di non prestarsi alle domande nell’ambito del processo nel quale è accusato di avere redatto di suo pugno il testamento del ragioniere Luigi Pini, annullando il proprio debito pari a 218mila euro nei confronti del facoltoso e conosciutissimo bancario di San Pietro in Vincoli scomparso il 7 giugno del 2021 all’età di 97 anni. Bazzoni, commercialista ravennate 66enne, deve rispondere di falso. Non solo le ultime volontà dell’anziano sono apparse due mesi dopo la morte, recapitate a casa di un avvocato ravennate senza alcun timbro postale; non ne sapeva nulla nessuno, men che meno la figlia, Patrizia. Il documento la indica quale beneficiaria “in parti uguali” insieme a Bazzoni, che da debitore si ritrova essere principale erede. Parallelamente vengono cancellati tutti i crediti vantati da Pini nei confronti di altre sei persone, per un totale di circa 400mila euro, minima parte di un patrimonio di 5,8 milioni di euro. Nessuno di questi ha riconosciuto la validità del testamento. Ma la querela sporta dalla figlia del defunto - costituitasi parte civile con l’avvocato Stefano Spinelli - punta il dito contro l’ex politico.

«Pini rivoleva i soldi prestati»

Ieri in tribunale, le parole dell’ultimo teste del processo hanno chiarito quali fossero le reali intenzioni dell’anziano a pochi mesi dalla morte, e come mai i rapporti con il politico, amico e collaboratore, si fossero incrinati. «Pini aveva concentrato tutte le forze perché voleva tutelare la figlia. Aveva contattato due o tre persone per riavere indietro i prestiti concessi». A parlare è Laura Basigli, consulente finanziaria di Unicredit che ben conosceva l’anziano, fin dai tempi in cui era direttore della filiale del Credito Romagnolo, per poi seguirne la posizione finanziaria. Ebbene, a suo dire, il denaro prestato a Bazzoni era diventato un cruccio: «Mi disse che da quando gli aveva chiesto indietro i soldi non si faceva più trovare al telefono e non si vedeva più nel suo ufficio».

L’articolo integrale sul Corriere Romagna, in edicola

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