Il gesto nobile delle suore clarisse di Santa Chiara a Faenza: lasciano il loro convento ai bisognosi, nonostante la loro nuova dimora colpita dalle frane

Prima del maggio scorso quando ancora l’alluvione non aveva funestato la città, avevamo lasciato le Clarisse di Santa Chiara provenienti dal monastero di via della Croce, traslocate a Monte Paolo in quel di Dovadola. Qui avevano trovato un “tempio” più piccolo da accudire e una nuova “casa”, dove sono confluite anche le poche consorelle di Forlì. Se ne andarono da Faenza due anni prima «per motivi pratici e ideali - disse all’epoca la superiora suor Mariangela - vista l’impossibilità di continuare a gestire un monastero ciclopico per le nostre forze». Avevano raggiunto un accordo di questo tipo visto il coinvolgimento nell’istruzione Cor Orans emanata dalla Congregazione per i religiosi in applicazione della Costituzione apostolica “Vultum Dei quaerere” firmata da Papa Francesco nel 2016. In pratica dove le suore sono meno di 5 si perde il diritto ad eleggere la superiore e gli immobili possono essere chiusi e diventare patrimonio della Chiesa.
In questo caso il monastero è rimasto comunque di proprietà delle suore che lo hanno concesso per ospitare prima i profughi ucraini e dopo l’alluvione gli sfollati, in particolare quelli di via Cimatti, la strada colpita dalla calamità sia il 2 che il 16 maggio. Ebbene in questi ultimi mesi le Clarisse hanno dovuto lasciare Monte Paolo perché anche loro “raggiunte” dai disastri provocati dalle frane: vi hanno fatto ritorno solo da poche settimane, una volta riaperto il varco sulla strada per il santuario. Nel frattempo hanno vissuto a Faenza, ospiti del Seminario. Sì perché, il loro convento di via della Croce ormai è quasi totalmente occupato da profughi e sfollati alluvionati e per loro probabilmente non vi era il posto. La trafila è emersa solo ora; infatti pochi sapevano che le religiose erano tornate a Faenza, ma non nel loro monastero che hanno voluto lasciare adibito a scopi umanitari e di emergenza.
Faenza nel cuore
Un gesto nobile in linea con quanto sostenuto dalle stesse suore nel momento dell’abbandono, ovvero che Faenza sarebbe rimasta nel loro cuore. Come si è rivelato utile durante l’alluvione l’istituto Emiliani di Fognano nell’accogliere gli sfollati dalle frane e a sfornare pasti per volontari e operatori di Protezione Civile, anche la struttura di via della Croce ha avuto una funzione “preziosa” nelle emergenze. E non è escluso che tale finalità la conservi per il futuro. Con le emergenze ormai diventate perenni si sta rivelando il luogo ideale per tamponare le esigenze abitative. Difficilmente potrà tornare un luogo di culto. Fallita la donazione del complesso alla Diocesi di Faenza-Modigliana, che in un primo tempo si era dimostrata interessata a rilevarla per gestirla, rivenderla o riconvertirla, e fallita anche l’ipotesi di ricavarne una “Casa per la Salute”, il suo destino pare ora segnato ad un utilizzo assistenziale, residenziale, per le emergenze di ogni tipo con le “rette” degli occupanti pagate alle suore dagli enti o istituzioni che in caso di necessità possono contare su questi spazi.