Hikikomori, un incontro all’Itis di Ravenna sul fenomeno del ritiro sociale nei giovani

Domani pomeriggio all’istituto Itis Baldini si parlerà del fenomeno degli hikikomori e del ritiro sociale nei giovani. Tra le relatrici, all’incontro in programma alle 17,30 nell’aula Ceci in via Marconi a Ravenna, ci sarà la psicologa e psicoterapeuta Giulia Adorante che traccia un quadro della situazione e della diffusione di questa sindrome psicosociale: «In Emilia Romagna gli hikikomori sono circa un migliaio – dice Adorante – anche se è difficile fare una stima esatta, perché di fatto questo disturbo clinico non è riconosciuto e non ci sono protocolli standard. Spesso a chi ne soffre viene diagnosticato un disturbo d’ansia. Il ritiro sociale è una patologia che interessa i giovani, soprattutto tra i 13 e i 25 anni, e interessa soprattutto i maschi, che risultano essere circa il 70% dei casi. Il numero di persone colpite è notevolmente cresciuto con la pandemia. C’è chi non è tornato in società dopo la fine del lockdown. Io mi occupo di questo disturbo dal 2021».

Dottoressa Adorante, come si manifesta questa sindrome?

«Siamo di fronte a un fenomeno molto complesso in cui possiamo individuare tre fasi. La prima è quella della “contemplazione”, avviene quando la persona si accorge di stare male. Il disagio la porta gradualmente a distaccarsi da tutti, nell’illusione che questa scelta lo porterà a stare meglio. La condizione può durare anche degli anni. C’è poi la fase del “ritiro parziale” quando la persona rinuncia all’attività scolastica o extrascolastica. Si assiste alle prime assenze a scuola o negli impegni sportivi e si interrompono i contatti sociali. Ci sono casi in cui il giovane non va a scuola, ma mantiene gli impegni sportivi. Ciò non deve ingannare o fare giungere a interpretazioni semplicistiche. Dietro queste scelte ci sono sempre condizioni di disagio. Infine, c’è la vera e propria fase di “ritiro sociale” in cui i ragazzi si chiudono in camera. All’inizio pur rifugiandosi nella propria stanza, mantengono i rapporti attraverso i social e internet, ma poi spesso interrompono anche questi. Nei casi più gravi, spengono la luce e rimangono al buio tra le quattro mura».

Come si può uscire da questa condizione?

«Il processo non è semplice e richiede il coinvolgimento di tutta la famiglia. Serve tempo; come psicologa, mi trovo a lavorare molto anche con i genitori che spesso devono entrare in una dimensione di attesa, accettazione e comprensione. Nel caso in cui un figlio cada nel ritiro sociale è molto importante che la famiglia si informi e si rivolga a professionisti in grado di aiutare. Può essere utile contattare le numerose associazioni che affrontano questo problema, che si è iniziato a studiare nel 1987 in Giappone. Da allora, con l’invadenza crescente della tecnologia e della pressione sociale si è sempre più diffuso».

L’incontro in programma domani all’Itis è aperto a tutta la cittadinanza e oltre a Giulia Adorante vedrà la partecipazione della psicologa Barbara Gnisci, con il coordinamento delle professoresse Laura Bezzi ed Emanuela Caprarulo. Sarà un’occasione per approfondire le ragioni del ritiro sociale dei giovani, fornendo strumenti a genitori, insegnanti e operatori coinvolti, per aiutarli a imparare a riconoscere i primi segnali di questo disturbo in modo da prevenire e intervenire con azioni efficaci.

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