Fondi Covid non dovuti: condannato ex presidente del Cervia Calcio

Ravenna

CERVIA - Per l’accusa era l’amministratore di fatto della società, il centro medico riunito Cervia Salus, poliambulatorio che chiuse in concomitanza con i primi mesi di pandemia. E proprio attorno ai “contributi Covid”, richiesti e poi ottenuti, ruota il processo che ieri si è concluso con la condanna di Gianluca Re, noto nella Città del Sale per essere stato fino al 2019 presidente del Cervia Calcio. L’ex dirigente, classe 1970, è stato condannato a 6 mesi dal collegio penale presieduto dal giudice Antonella Guidomei (a latere Natalia Finzi e Cosimo Pedullà) per indebita percezione di fondi ai danni dello Stato.

Stando alla ricostruzione dell’accusa, la società che gestiva il poliambulatorio risultava inattiva al momento della richiesta del beneficio fiscale, presentata telematicamente a luglio del 2020; pare quindi non fosse stata colpita dagli effetti economici della pandemia. Nonostante ciò, il contributo venne riconosciuto ad agosto dello stesso anno e liquidato il mese successivo. Su questi presupposti si basava la richiesta di condanna a un anno avanzata ieri dal sostituto procuratore Francesco Coco al termine della requisitoria. Per la Procura, la struttura era ormai considerata una “bad company”, mentre parallelamente era già operativa una nuova struttura che svolgeva le medesime attività, facendo transitare anche la clientela. Una risultanza - secondo il pm - che evidenzia l’assenza di un reale danno economico legato alla crisi sanitaria.

Sulla carta Re era direttore commerciale. Un ruolo che secondo il difensore dell’imputato - assistito dall’avvocato Giampaolo Cristofori - lo smarcherebbe dalle responsabilità riguardo la richiesta del contributo, trasmesso dal commercialista e firmato in realtà dalla legale rappresentante. Eppure, prosegue l’accusa, numerosi elementi indiziari lo descriverebbero come il principale referente per la gestione economica e organizzativa: Re si occupava di pagare gli stipendi, riceveva richieste legate alle spettanze economiche e forniva indicazioni operative. Insomma, era la persona a cui si rivolgevano tutti per qualsiasi questione.

Per la difesa non sarebbero tuttavia emerse prove sufficienti per dimostrare che il 54enne fosse l’amministratore di fatto, sottolineando che per lo stesso reato l’allora legale rappresentante ha già patteggiato la pena. Le decisioni aziendali prese da Re sarebbero state secondo il legale parte integrante delle sue mansioni, non tali da provarne un effettivo ruolo amministrativo. Per questo aveva chiesto l’assoluzione per insufficienza di prove.

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