De Pascale, il nipote del bagnino che sognava al liceo di essere governatore

Ravenna

Da giovane diceva che sognava fare il medico, per la precisione lo psichiatra. Ma chiunque abbia parlato un quarto d’ora con Michele De Pascale sa benissimo che era una bugia. Troppa passione politica per metterci sopra un camice bianco. Cervese nato a Cesena, sposato con 2 figli, a soli 39 anni “Depa” ha già vissuto tre vite: quella del giovane politico predestinato, quella del sopravvissuto e quella del sindaco di Ravenna. Da oggi comincia quella da Governatore. Forse l’unica che aveva dichiaratamente sognato.

Figlio di un bancario (di centro destra) e nipote di un bagnino, De Pascale comincia a vivere l’attivismo ai tempi del Liceo Righi di Cesena. E lo fa insieme a un suo grande amico: l’attuale sindaco di Cesena, Enzo Lattuca.

Inizia a fare politica vera nella sua Cervia, dove già giovanissimo gli viene affidato l’assessorato al Turismo che da quelle parti vuol dire essere un gradino sotto al sindaco. Ma è chiaro che a quel ragazzo, con la “s” romagnolissima e la battuta pronta, il ruolo sta stretto. E la sua ascesa sembra senza ostacoli, almeno fino a una notte del 2011, quando a 25 anni la sua Alfa si schianta per un colpo di sonno mentre torna a casa dopo un appuntamento elettorale. Aveva appena accompagnato a casa quella che sarebbe diventata sua moglie: Laura Casadio, oggi avvocata, figlia dell’allora presidente della provincia di Ravenna Claudio Casadio. Le sue condizioni sono disperate. Ma De Pascale ce la fa. Per anni porta sul corpo, con una evidente zoppìa, i segni di quello schianto. Sul volto li porta ancora, e nell’anima - dirà lui stesso in diverse interviste - esiste un prima e un dopo. De Pascale intanto diventa segretario provinciale del partito e riveste quel ruolo, nel novembre del 2015, quando un altro incidente scuote Ravenna. A perdere la vita è Enrico Liverani, giovane candidato scelto dal Pd per la carica di sindaco. I due sono molto legati. De Pascale non sognava certo di fare il primo cittadino di una città così chiusa e complessa, ma non ha scelte. Si prende le sue responsabilità, vince e, soprattutto, studia. Perché all’inizio i ravennati lo chiamano il “cervese” e non è proprio un vezzo affettuoso. Lui lo avverte ma non si scoraggia, anzi.

«I primi due mesi mi addormentavo guardando lo stradario di Ravenna - confessa a un giornalista - ero terrorizzato dal non conoscere le strade e fare gaffes». L’ inizio non è facile. A una presentazione del Ravenna Calcio, al “cervese” appena eletto, un tifoso allo stadio gli urla “Tornatene al Manuzzi”. Lui si avvicina e gli chiede: “Scusa, ma che ti ho fatto?” E il tifoso gli risponde «Niente, io ti ho pure votato, sono di sinistra, ma sei nato a Cesena». Cinque minuti di faccia a faccia e fanno pace. Prove tecniche di campo largo.

Ci sono però due eventi con cui il “cervese” riesce a entrare in sintonia con una città refrattaria ai sentimentalismi. Il primo è la pandemia; quando si dimostra fermo ma empatico nel guidare i cittadini. Il secondo è l’alluvione; quando evita il peggio con scelte coraggiose, ricordate recentemente anche da Prodi.

Il suo capolavoro politico è invece il rigassificatore. Che riesce a realizzare a tempo record, mantenendo buoni i rapporti con Verdi, sinistra e Cinque Stelle. E’ evidente che il vero De Pascale è più politico che amministratore e infatti, quando Bonaccini vola a Bruxelles, il suo nome spunta fuori in maniera fisiologica. Sul piatto mette l’età, il campo largo e le sue capacità di tessitore, maturate dopo inizi in cui appariva più aggressivo.

Il Pd gli dà fiducia, al resto ci pensa la fidata consigliera Manuela Rontini che gli cura la campagna, con un occhio a Roma e i piedi ben piantati in Emilia Romagna. Da oggi il presidente è lui. Il “cervese”. E come dicono in queste ore a Ravenna con un filo di orgoglio: «Abbiamo ancora un presidente ravennate».

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