Carlin Petrini, Capatti, Meldini, Corelli ricordano il gastronomo Graziano Pozzetto: « Ha lasciato un segno»

Ravenna

«Sono molto impressionato e amareggiato dalla notizia della scomparsa di Graziano Pozzetto, ma nello stesso tempo sono felice di averlo conosciuto e di avere in parte contribuito alla sua passione. E’ un pezzo della nostra storia che se ne va. Era presente alla fondazione del nostro movimento, parte del nostro sparuto gruppo che tra Barolo e Fontanafredda nel 1982 fondò Arcigola, che divenne Arcigola-Slow Food poi solo Slow Food». Carlin Petrini, fondatore e anima del movimento della chiocciola che da allora si è diffuso in tutto il mondo divulgando un’ idea di cibo alternativa alla massificazione e all’omologazione, ricorda così Graziano Pozzetto, il gastronomo romagnolo che a questi principi è sempre rimasto ancorato. La loro amicizia si è mantenuta nel tempo, si sono incontrati l’ultima volta a Ravenna. «Ha sempre avuto una verve e un modo di esprimersi che incarnava la figura dell’appassionato e dell’intenditore, era un autodidatta di grande sapienza - continua Carlin Petrini -. Ha dato molto alla letteratura gastronomica, con una produzione impressionante di libri che pochi hanno in Italia, e per il nostro movimento è una perdita importante. Per la Romagna ha fatto un lavoro immenso, e non c’è dubbio che abbia dato molto alla cultura gastronomica in una terra che ha punti di riferimento importanti da Pellegrino Artusi a Massimo Montanari. Qui c’è un pezzo di storia materiale molto importante e il suo ruolo gli va riconosciuto perché ha lasciato un grande segno e un patrimonio non indifferente frutto di anni di presenza e passione. Merita un posto di rilievo nella memoria della gastronomia italiana».

In tanti sui social, che lui non praticava affatto, hanno ricordato Graziano Pozzetto, amici, scrittori, editori, cuochi, gastronomi, grandi saggi, professori e intellettuali. Tanti dei quali hanno contribuito spesso ai suoi molti libri. Come Alberto Capatti, storico e professore universitario, direttore scientifico di Casa Artusi che alla «scombussolante» notizia della morte dell’amico esclama: «Graziano è sempre vivo... Madonna sovietica! Lo dico come lo direbbe lui, con una delle tante sue espressioni che io ho imparato. Continuo a viverlo col suo linguaggio scatenato e le sue frasi che ripeto spesso. L’ho conosciuto tanti anni fa, da quando ho cominciato a frequentare Forlimpopoli e la Romagna, io sono di Como. Graziano era il personaggio della contraddizione sistematica che però viveva con gioia e straordinaria vivacità. Mi ha catturato a tal punto che nei conflitti che aveva, a Casa Artusi mi chiamavano “il suo fidanzato”, non avevo bisogno di difenderlo convivevo con le sue idee e quindi la parola fidanzato mi piaceva. L’ultimo suo libro sui mangiari dell’infanzia è nato in modo singolare. Io avevo cominciato a riflettere su me bambino e gliene avevo parlato, lui ha catturato questa idea e il libro, in cui ha accolto anche un mio scritto, è partito felicemente. Era capace di organizzare un libro partendo da un’ idea che gli piaceva, ma soprattutto dalla condivisione con un amico, dal rapporto con le persone».

Piero Meldini, storico e scrittore di Rimini, ha contribuito a tantissimi dei suoi libri, Pozzetto teneva molto alle sue note storiche. Era spesso nella sua grande casa di San Piero in Campiano: «C’ero anche quindici giorni fa, cercavo di rassicurarlo sulla salute. Veniva da una famiglia contadina e ne era orgogliosissimo. Ci teneva molto a ricompensare chi collaborava con lui attraverso una politica di baratti di formaggi, mieli, salumi e prodotti. Così come era contento di invitare a casa sua, in particolare per il suo compleanno, studiosi e produttori, amici e buongustai e lì si faceva un lauto pranzo con tutto quello che aveva di appetitoso in dispensa. Col suo lavoro ha scandagliato in lungo e in largo la cucina romagnola e ha composto una vera e propria enciclopedia. Voglio ricordare il suo spirito polemico che scatenava ogni volta che non veniva rispettata l’identità di un prodotto. Un mio amico dice che non potendo noi allungare la nostra vita possiamo allargarla. Graziano era bulimico di esperienze, amicizie, curiosità, come di buon cibo, nel collezionare di tutto e nel fare libri più grossi possibili, ho fatto spesso da paciere fra lui e i suoi editori... E’ stato un campione di vita larga».

Igles Corelli, chef che ad Argenta aveva creato il leggendario Trigabolo, di Pozzetto dice: «Era un amico prima di tutto. La sua presenza a “Saperi e sapori” ad Argenta ha dato lustro e forza ha valorizzato il territorio con la sua caparbietà. Uno fuori dal coro, e che carattere! Sempre in difesa totale della qualità. Cosa mi rimane dei suoi insegnamenti? Fare di tutto per valorizzare i piccoli produttori di qualità».

Una vita per lo studio della gastronomia romagnola

Nella biblioteca personale di ogni romagnolo che ami la propria terra c’è un suo libro. Per chi li abbia raccolti tutti, o quasi, servono tre o quattro scaffali. Sono infatti quaranta i volumi pubblicati in gran parte con gli editori Panozzo e Ponte Vecchio, che Graziano Pozzetto ha scritto per raccontare i mangiari, i piatti, i prodotti e i territori della Romagna, dalla bassa più piatta al Montefeltro. Monografie, spesso voluminose, in cui poteva raccontare e documentare tutto della piadina, del formaggio di fossa, della cucina del latte, delle minestre, del miele, dei frutti dimenticati, del suo amato maiale, dello scalogno, dello scquacquerone, dell’anguilla, di rane e ranocchi e salame da sugo... Poi i luoghi: le nebbie delle valli del Po, l’aria tersa della Valmarecchia e del Montefeltro...perché secondo lui non c’era una cucina romagnola, ce ne erano almeno nove. Nella Bassa c’era nato, a dire il vero una manciata di chilometri oltre confine, a San Biagio d’Argenta, ma quel confine che in quelle terre di argini e valli è più labile, lo aveva scavalcato presto e la Bassa ravennate era la sua casa. Una casa grande, come lui, una ex caserma dei carabinieri vecchia di qualche secolo, con una cantina fornita sempre di ogni ben di Dio, avuto in dono, acquistato dai produttori che amava scoprire e conoscere a fondo, ma anche raccolta, come i frutti e le erbe per i suoi fantastici liquorini, o autoprodotta, come gli aceti che teneva custoditi in quella che era stata la cella di sicurezza della caserma. Ma anche l’Alta Valmarecchia e il Montefeltro erano casa sua, la sua amata Casteldelci per sfuggire all’afa estiva, poi Pennabilli luogo dove aveva coltivato la sua grande amicizia con Tonino Guerra, che a sua volta aveva ispirato almeno due di quei tanti volumi. Graziano era generoso: sapere e prodotti li scambiava volentieri con coloro i quali si trovava in sintonia nella quotidianità del lavoro di ricerca che non ha mai interrotto, ma anche con un pubblico variegato che ha incontrato nelle centinaia e centinaia di incontri pubblici che ha animato con i suoi aneddoti, le sue conoscenze. Qualcuno lo ha definito burbero, “difficile”, intransigente ma nel senso buono, rigoroso sarebbe stato più adatto. Si sentiva un custode più che della tradizione dell’identità di cui a fatica apprezzava alcune evoluzioni non per chiusura ma per sincero sentimento di voler documentare l’origine, il punto di partenza affinché non si perdesse per strada. A Natale scorso aveva scoperto di essere malato, nella sua grande casa ha cominciato a riordinare pensieri e i tanti libri che, dicono il figlio Alessandro e gli amici stretti, sperava che qualche biblioteca avrebbe accolto in dono. Se ne è andato poco dopo il suo ottantatreesimo compleanno, che cadeva a fine gennaio.

Martedì il funerale

La camera ardente è per oggi e domani alla camera mortuaria di Ravenna da cui il feretro partirà martedì 18 febbraio alle 9 alla volta di San Biagio d’Argenta, per la funzione alle 10, dove le ceneri riposeranno nella tomba di famiglia.

Newsletter

Iscriviti e ricevi le notizie del giorno prima di chiunque altro Clicca qui