Bagnini di salvataggio, meno vocazioni tra i giovani. I nuovi baywatch sono 50enni cassintegrati

Ravenna

RAVENNA. «Il marinaio di salvataggio? Più cassaintegrati che giovani ma restiamo il simbolo della Romagna». Parola di Simona Tarlazzi, referente Sns (sezione nazionale di salvamento - sezione di Ravenna) che ha terminato la carriera nel 2017 ma, dal 1996, continua a svolgere a 360 gradi attività di formazione. Dimentichiamoci i baywatch di lungo corso che negli anni ruggenti della Riviera conquistavano a suon di muscoli e sguardi ammiccanti stuoli di turiste. Tradotto? I giovani si mettono fuori gioco da soli ma il mondo del salvamento trova nuovi equilibri grazie a un salvagente sui generis: la carica dei 50enni.

Tarlazzi, facciamo il punto: quella del marinaio di salvataggio è ancora una professione attrattiva per i giovani?

«I ragazzi non mancano all’appello ma per loro si tratta di una parentesi, non del lavoro della vita. Si impegnano una stagione accantonando uno stipendio da 1.600 euro al mese. Quanto ai corsi, partecipano anche i16enni per ottenere crediti formativi e muovere i primi passi in una realtà professionale. Un’esperienza, la loro, che regala responsabilità, competenze e attenzione».

Quanti brevetti sono rilasciati in Romagna in un anno?

«Almeno un migliaio».

E quanti ne conta lei nella sua carriera da formatrice?

«Oltre 2mila in 28 anni».

Negli ultimi anni alla vostra porta bussano gli over 40?

«A dirla tutta anche i 50enni, in particolare i cassaintegrati o i disoccupati. Scelgono un mestiere all’aria aperta, spesso agli antipodi di quello svolto per una vita. Quanto al loro impegno, non ha nulla da invidiare a quello degli adolescenti».

Molti bagnanti entrano in acqua infischiandosene della bandiera rossa: è un atteggiamento duro a scomparire?

«I marinai di salvataggio indossano una divisa ma non hanno particolari poteri perciò, in un’epoca sempre più allergica alle regole, si sentono spesso rispondere per le rime qualora dispensino raccomandazioni anche in caso di balneazione sconsigliata. Un problema, quello della mancanza del rispetto per il prossimo, ormai generalizzato un po’ ovunque. Detto questo, è comprensibile l’entusiasmo per i tuffi nel mare mosso, ma se si ascoltano i consigli di un esperto, mettendo in campo le dovute attenzioni, si può sempre trovare un punto di incontro tra sicurezza e spensieratezza».

Talvolta dovete fare i conti con i decessi dei bagnanti più anziani: quanto è traumatico?

«Purtroppo è una situazione che può verificarsi e i maggiori casi si concentrano nei primi 30 metri della battigia con un’acqua alta appena 40 centimetri. Il motivo? Forse consapevoli delle loro patologie pregresse, le persone più fragili non si avventurano al largo. Vero è che, dati alla mano, le morti sotto l’ombrellone avvengono più di rado. Veder morire qualcuno è sempre un dramma ma se un marinaio ha lavorato con responsabilità facendo tutto quel che poteva, secondo le regole, può superare il trauma, a meno che questo mestiere non rientri nelle sue corde».

Cosa andrebbe cambiato per facilitare la vita ai baywatch?

«Essere riconosciuti, come avviene in altri Paesi, quali membri di un ente o come rappresentanti in seno alle forze dell’ordine, ad esempio la Capitaneria di porto, per poter contare su un lavoro tutto l’anno».

Concessioni balneari, c’è il rischio che il bagnino ruspante made in Romagna diventi un dipendente che timbra il cartellino?

«Tutto il comparto è in alto mare, è difficile fare previsioni. L’auspicio è che questo continui a essere un lavoro amato, rispettato e da tramandare alle nuove generazioni».

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