Ravenna, anziano costretto a mangiare le sue feci: lavori sociali per titolare e badanti
La più grave delle accuse, cioè quella di avere forzato un anziano ospite della casa famiglia “Villa Cesarea” a mangiare le proprie feci, è stata derubricata da maltrattamenti a violenza privata. Un passaggio che mercoledì ha consentito a due dei quattro imputati di definire le proprie posizioni con la messa alla prova. Estingueranno cioè il reato svolgendo lavori socialmente utili. Prestando 300 ore di servizio, il titolare della struttura, Paolo Maioli, 65enne difeso dall’avvocato Giovanni Scudellari, potrà chiudere definitivamente la faccenda che nel 2019 portò al suo arresto, con tanto di sospensione della licenza da parte del Comune; 450 le ore invece previste per la badante del centro, la 49enne romena Elena Caliman, assistita dall’avvocato Silvia Brandolini. Fu proprio quest’ultima, secondo quanto ricostruito dall’accusa, a reagire di fronte al rifiuto dell’anziano a farsi lavare trascinandolo in bagno e spogliandolo sul bidet, per poi prendere le feci dell’uomo, imbrattargli il volto e infilargliele in bocca. Stessa sorte processuale, ma non ancora messa nero su bianco per questioni burocratiche, toccherà probabilmente alla collega connazionale, l’infermiera 48enne Elena Daniela Cojocariu (difesa dai legali Giorgio Vantaggiato e Lara Piva).
E’ invece l’accusa di esercizio abusivo della professione medica che è costata la condanna al termine del rito abbreviato per la badante 57enne di origine ucraina Larysa Pshechenko. Per avere somministrato medicinali e praticato iniezioni non avendo l’abilitazione da infermiera, la donna, difesa dall’avvocata Sonia Lama ha ricevuto una pena pecuniaria, sospesa.