Rimini, il mental coach Paolo Filippini: “Troppo spesso i genitori proiettano sui figli ciò che non sono riusciti ad ottenere”

Sport e sconfitte, ecco un vademecum da seguire quando i genitori esagerano e ricordano hooligan inferociti.

Come riuscire a non perdere la bussola quando il gioco si fa duro, restando un valido punto di riferimento per i figli? Ce lo spiega il mental e business coach, Paolo Filippini. Ma prima diamo uno sguardo alle proposte messe in campo dalla città di Rimini. Anche quest’autunno il Centro per le famiglie del Comune organizza incontri di approfondimento psicopedagogico, a cadenza mensile, che offrono la possibilità di riflettere su diversi temi e aiutare gli adulti a trovare (o ritrovare) strumenti e buone pratiche per porsi accanto ai bambini e accompagnare la loro crescita. L’incontro di apertura di “Emozioni... un grande classico” è previsto per stasera al cinema teatro Tiberio, alle 20.45, con ingresso gratuito e senza prenotazione. Ospite d’eccezione Matteo Nucci, scrittore e giornalista. Di seguito, il 3 dicembre, sarà la volta di un appuntamento nuovo rispetto alla programmazione passata: un approfondimento bibliografico con Alice Bigli, pedagogista e esperta di letteratura e Desirée Monciardini counselor familiare, insieme per una serata dal titolo “Le parole che aggiustano - I libri da chiedere a Babbo Natale, per continuare ad essere genitori (sufficientemente) buoni anche quando le cose si fanno difficili”. Con l’occasione verrà presentata una selezione di libri che aiutano a comprendere l’universo emotivo che si attiva di fronte alle diverse situazioni.

Ma quand’è che i genitori danno il peggio di sé? Talvolta dagli spalti di uno stadio (o di un palazzetto dello sport) dove, se i figli perdono una partita, a esplodere è la rabbia degli adulti che tracima tra offese (spesso) a sfondo razzista e risse contro la parte avversa. ne parliamo con Filippini autore del libro “Obiettivo: stupisci te stesso”.

Come deve comportarsi un genitore se vuole avviare un figlio allo sport? Cosa invece sarebbe meglio evitare?

«Capita spesso che i genitori proiettino sui figli ciò che loro non sono riusciti a fare ed ottenere e questo, nel 90% dei casi, significa forzare la natura dei ragazzi, allontanandoli da quanto vorrebbero fare o esprimere. Ecco perché è necessario un lavoro a monte, per evitare poi che sugli spalti scoppino episodi deplorevoli. Ci sono dei valori, pochi ma precisi, da trasmettere, come ad esempio la lealtà, e da qui mettere in pratica comportamenti nuovi che rispecchino i valori stessi mettendo in campo azioni concrete per preparare il ragazzo (o il genitore) a far sì che da un certo stimolo (come una sconfitta o uno sgambetto in campo) non scaturisca la rabbia bensì un’emozione diversa. I valori, come l’onestà e il fair play vanno radicati, insegnati e costantemente rispolverati e vissuti cosicché, anche quando accade qualcosa di brutto o di inaspettato, si reagisca nel modo adeguato. Un esempio? Molti parlano di “rispetto, condivisione e squadra” ma poi nell’effettivo non ci si prende la responsabilità di viverli nel quotidiano. Risulta spesso più facile trovare un colpevole per una nostra sconfitta che assumersi la consapevolezza di farsi la domanda: “Come avrei potuto farlo meglio?” o “In che modo posso migliorare?».

Come riuscire a far maturare i genitori in un futuro che si prospetta pieno di sfide, odio e intelligenza artificiale?

«Resta essenziale educare gli adulti a trasmettere nel giusto modo i valori cardine che, se imparati sin da piccoli, potrebbero fare la differenza nei giovani di oggi. Le persone, infatti, crescono quando traggono una lezione importante dagli errori che hanno commesso, piuttosto che voltare la testa e allontanarsi dalle proprie responsabilità. Ecco perché, se riusciamo a mettere l’attenzione sui valori, dare il significato che si meritano e capire la giusta modalità per trasmetterli ai figli, possiamo cambiare in meglio le sorti di tutti, incluso l’andamento di qualunque match».

Cos’è importante trasmettere ai giovani prima della discesa in campo?

«Per rendere un ragazzo sicuro di sé bisogna lavorare sul pensiero e poi sull’impatto che hanno le sue azioni all’interno del “mercato” in cui opera. Se si tratta di una partita, l’odio, la cattiveria o la rabbia non aiutano a andare forte. Infatti, se prevale il cosiddetto “tono emotivo basso” la nostra mente è bloccata mentre scegliendo “il tono alto” si riesce a essere creativi, arrivando a performance di grande livello».

La sconfitta ha in sé un valore educativo?

«Ogni sconfitta, ma anche qualsiasi criticità a cui la vita ci sottoponga, offre una lezione da imparare. Per questo i giovani dovrebbero poter contare su una guida, come un mental coach o un genitore, per imparare a gestire anche le esperienze negative, e patrimonializzarle, traendo lezioni positive, così da vedere il futuro con fiducia, ambizione e direzione».

Newsletter

Iscriviti e ricevi le notizie del giorno prima di chiunque altro Clicca qui