Rimini, Elisa, il tumore e i suoi ostacoli superati: “Non parlate di battaglie, è come prendersi per mano”

«Ammalarsi di tumore aiuta a vivere un passo alla volta». Inizia così il racconto della riminese Elisa Giannini, architetto 50enne che ha superato più di un’odissea mantenendo intatta un’incrollabile voglia di vivere.

Elisa, come ha saputo che qualcosa non andava?

«Ho scoperto un nodulo tramite l’autopalpazione e il medico di base mi ha subito indirizzato alla prevenzione senologica di Rimini. Nel giro di un’ora ero fuori con una diagnosi, seppur non scritta in attesa dell’esito dell’esame istologico, e mi avevano già sottoposta a mammografia, ecografia e biopsia. Le probabilità che fossi malata erano alte, nonostante la mancanza di casi in famiglia, e così è stato. Avevo un carcinoma triplo negativo, che è il tumore meno curabile tra quelli al seno, e navigare su Internet mi demoralizzava. Forse, tornando indietro, farei ricerche solo per porre più domande agli esperti, ma senza cadere nel tranello di Internet, perché ogni storia è un mondo a sé. Da allora sono trascorsi 9 anni ma la prima diagnosi è arrivata nell’adolescenza con il Linfoma di Hodgkin. Un periodo molto faticoso, quello dai miei 13 ai 15 anni, in cui ho affrontato cure all’epoca pesanti e senza le prospettive di guarigione che oggi dá il tumore al seno, con una sopravvivenza che dopo 5 anni si attesta all’88% e supera il 90% se viene individuato negli stadi iniziali».

Come è stato il suo percorso?

«Si affrontano diverse fasi ma la diagnosi è sempre una bastonata in testa anche perché si entra in una centrifuga senza sapere cosa fare né dove andare».

La prima preoccupazione al momento della diagnosi?

«Mia figlia aveva 17 anni e il primo pensiero è andato a lei. Mi sentivo fortunata perché non era piccola ma in realtà nessun figlio è abbastanza grande per ricevere una notizia simile. Tuttavia, a distanza di anni, mi resta una certezza. Il percorso è lungo e complicato per cui dire la verità è, a mio avviso, la scelta migliore anche quando ci si rivolge ai più piccoli della famiglia. Basta usare le parole giuste e soprattutto trasmettere la volontà di affrontare tutto con calma. La seconda emozione che mi è balenata in mente al momento del “verdetto” è che, comunque fosse andata, avevo ricevuto già molto dalla vita. Solo dopo ho capito che la mia era una prospettiva sbagliata perché equivaleva a arrendersi. Nemmeno il periodo delle cure è così invalidante da chiudersi in casa, tant’è che ho continuato a lavorare. Non la definirei nemmeno una battaglia perché nelle battaglie alla fine tutti perdono, invece il nostro è più un tenersi per mano con i medici, i propri cari e un’associazione di riferimento».

A quale associazione si è rivolta?

«A Il punto rosa, (di cui ora è vicepresidente, ndr) che si è rivelato fondamentale facendomi conoscere persone splendide come Patrizia Bagnolini che ne è al timone. Parlare con donne che avevano vissuto la mia stessa esperienza mi ha infuso grande forza. Ci incontravamo una volta a settimana anche solo per mangiare una pizza senza parlare di continuo della malattia su cui comunque riuscivamo a scherzare mentre la gente la considera ancora un tabù. Anche piangere, assieme a queste nuove amiche, era più semplice».

Quali cure ha affrontato?

«Ho dovuto sottopormi alla mastectomia e alla chemioterapia che poi ho interrotta quando mi ha portato uno scompenso cardiaco. Ma non è tutto. Due anni dopo mi hanno diagnosticato una metastasi cerebrale e le cure sono ripartite da capo. Momenti difficili, questi, lunghi 4 anni e costellati da altrettante chemioterapie. Ogni istante mi ha insegnato, però, a non demoralizzarmi restando più calma possibile. Anche il lavoro mi ha aiutato impegnandomi e facendomi sentire utile ma, lo sottolineo, si può anche scegliere di prendersi un periodo di riposo: è il momento giusto per farsi coccolare».

Che rapporto ha con il suo corpo dopo la mastectomia?

«Alcune donne non riescono a guardarsi allo specchio, altre invece si sentono sollevate, e questo è stato il mio caso, perché a prevalere era la sensazione di aver estirpato la malattia. Detto questo, serve comunque un percorso di accettazione e in certi casi è bene farsi aiutare da specialisti senza fare la Wonder woman di turno».

Quanto è importante la prevenzione?

«Volersi bene e aver cura di sé è fondamentale anche durante la cura sia dal punto di vista medico che psicologico. Per fare la differenza a volte basta una camminata come quella che Il punto rosa organizzerà a Santarcangelo per il 27 ottobre».

Un consiglio a chi sta vivendo quel che lei ha già passato?

«Fare un passo alla volta senza aver paura né del tumore né delle cure. È normale chiedersi: “Perché a me?” ma il fatto che questa prova fosse stata risparmiata alle persone che amo mi ha sempre fatto sentire molto fortunata».

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