Paziente legato, infermiera assolta. Il giudice: "Era un'emergenza"

Decidere di spostare il paziente dal letto alla sedia a rotelle, facendogli passare le ultime ore della nottata seminudo nella corsia del reparto con polsi legati, è stata una scelta legittima dell’infermiera, che «ha fatto tutto il possibile per fronteggiare una situazione di emergenza, avendo a cuore la tutela» dell’anziano. L’operatrice sanitaria va dunque assolta «perché il fatto non costituisce reato». Queste le parole scritte nelle motivazioni della sentenza (depositate ora) che a inizio maggio ha scagionato un’operatrice sanitaria ravennate in servizio nel 2020 all’ospedale Sant’Orsola- Malpighi di Bologna. Era accusata di violenza privata dopo la denuncia sporta a distanza di oltre un mese dai fatti a firma dello stesso paziente, poi deceduto ancor prima dell’inizio del processo.

La decisione di legare il paziente

In realtà all’epoca dei fatti, le prime rimostranze erano state sollevate da una delle figlie dell’anziano. Giunta la mattina in ospedale ed entrata nel corridoio del reparto di Medicina Interna, aveva trovato il padre seduto nella carrozzina con indosso solo il pannolone contenitivo. Non le erano sfuggiti i fermapolsi con chiusura in velcro, che seppure slacciati avevano trovato poi conferma del fatto che l’uomo fosse stato legato. Era stata la stessa infermiera ad ammetterlo. Difesa dagli avvocati Giorgia Toschi e Samuele De Luca, aveva avuto modo di spiegare il motivo di tale decisione. Le sue parole sono riportate nella sentenza: “ Era un paziente anziano, a tratti agitato, a tratti tranquillo”. La notte del 25 febbraio, verso le 4.30, l’uomo si era innvervosito, iniziando a scalciare e a disturbare anche gli altri compagni di stanza. “ Più gli parlavo più si agitava... dovevo fare qualcosa”. Quel “qualcosa” era stato concordato con i familiari, che avevano dato disposizione affinché fossero contattati in qualsiasi momento. Così aveva fatto l’infermiera, sentendosi tuttavia rispondere che una delle figlie non sarebbe riuscita ad arrivare prima di un paio d’ore. L’operatrice sanitaria l’aveva quindi informata che avrebbe avvisato il medico di guardia, chiedendo l’autorizzazione a ripristinare la terapia farmacologica per calmarlo. Cosa che tuttavia non fu concessa. Durante il processo è stato lo stesso sanitario a spiegare il motivo: qualora l’anziano fosse stato sedato avrebbe dormito tutto il giorno per poi risvegliarsi la sera successiva, creando così un circolo vizioso. Ha anche puntualizzato che ogni infermiera ha una certa autonomia decisionale, aggiungendo quella che a sua opinione dovrebbe essere la corretta prassi: “ La cosa intelligente da fare, per il bene del paziente, è metterlo seduto in modo che si stanghi, tenerlo seduto possibilmente tutto il giorno in modo che arrivi la notte dopo che sia stanco, che dorma.

La critica al sistema sanitario

Oltretutto, rimarca il giudice, quella notte la situazione era davvero critica: dei 36 pazienti presenti in reparto, la maggior parte in età geriatrica, molti erano agitati e a gestirli c’erano solo due infermiere. Un «quadro» - ravvisa il magistrato - che «evidenzia una drammatica carenza di risorse umane, laddove si dà per scontato che le deficienze del sistema sanitario nazionale debbano essere colmate dalla buona volontà dei parenti dei degenti e dal senso di abnegazione degli operatori sanitari. Quando né gli uni né gli altri ne dovrebbero pagare il prezzo. E tantomeno i pazienti».

Newsletter

Iscriviti e ricevi le notizie del giorno prima di chiunque altro Clicca qui