Novafeltria, materiali radioattivi nella miniera: «Le rocce emettono gas Radon»
Polonio radioattivo nella miniera di Perticara. La sensazionale scoperta scientifica, che non trova precedenti, è riportata dalla rivista Science of the total environment pubblicata dall’editore Elsevier nei Paesi Bassi. I “fantastici sette”, che hanno condotto uno studio iniziato nel 2014 e concluso di recente, sono gli studiosi Marco Taussi, Maria Assunta Meli, Carla Roselli, Giacomo Zambelli, Ivan Fagiolino, Michele Mattioli e Matteo Giordani. Quest’ultimo è ricercatore dell’università di Urbino nonché geologo originario di Novafeltria e laureato in scienze geologiche gestione del territorio sempre a Urbino nel 2011.
«Tutto è iniziato – esordisce il 34enne - con la nuova esplorazione della miniera di zolfo della Romagna orientale ad opera della Federazione speleologica dell’Emilia Romagna». Un intervento risalente al 2014-2015 e coronato dall’uscita di un volume a cura della stessa Federazione.
Tra passato e futuro
La miniera di Perticara, acquistata dalla Società Montecatini nel 1917 e chiusa nel 1964, raggiunge l’apice dell’attività nel 1938 con produzioni di zolfo greggio che sfiorano le 50mila tonnellate annue, a fronte di oltre 1.600 minatori. All’esplorazione di un pezzo della storia della Valmarecchia partecipa anche Giordani che con l’occasione campiona diverse rocce minerali rinvenute dentro alla miniera per sottoporle ad analisi. A lasciare tutti senza parole è il rinvenimento di un discreto quantitativo di Polonio 210 all’interno di un minerale noto come Epsomite. Il Polonio è un elemento radioattivo, spiega il ricercatore, «che non è estremamente pericoloso in quanto non riesce a oltrepassare la pelle umana però può provocare problemi se ingerito o inalato».
La scoperta genera domande a catena: da dove viene il Polonio? Com’è finito nella miniera? Per trovare una risposta, gli studiosi analizzano altre componenti presenti all’interno della cava: dalle acque al suolo passando per l’aria e il bitume, grazie a strumentazioni che permettono di misurare l’ambiente in più scaglioni.
Gas radon
Al risultato finale contribuiscono in tanti, da chi effettua i campionamenti a chi esegue le analisi, fino al museo Sulphur e al Gruppo speleologico Urbino. Alla fine emerge un’ipotesi: la provenienza del Polonio è connessa alla presenza di Radon 222, gas radioattivo legato a processi naturali. Tradotto: «Tutte le rocce emettono quantità di Radon all’interno della crosta terrestre seppur in quantità variabile. La particolarità è che la miniera è priva di un ricambio con l’aria esterna. Perciò il gas rimane accumulato all’interno senza fuoriuscire.
«Questo significa – prosegue il 34enne - che con il tempo il Radon decade in altri elementi come il Polonio 210, una volta catturato dal minerale dell’Epsomite che poi lo trattiene nella sua struttura».
Niente allarmismo
A Giordani preme ribadire che «la situazione non è assolutamente allarmante ma che si tratta di uno studio originale». Dopo accurate indagini bibliografiche non risultano infatti studi di questo tipo, né tantomeno la presenza di un elemento radioattivo «catturato durante la crescita di nuovi minerali».