Suoni solidi fatti di nebbia

Ma forse, facendo della filosofia da dilettante, il nautofono ci ricordava dell’esistenza di un’altra entità. Un’aura che quando la vediamo non ci permette di vedere alcunché: la nebbia. In fondo la società contemporanea, dominata da algoritmi, immagini e connessioni è una società che ci permette di vedere tutto e prevedere tutto. Ci sono telecamere ovunque che filmano ogni persona, possiamo ritrovare le foto dei nostri compagni delle elementari con un click su Facebook, possiamo vedere in diretta se a Times Square piove. Possiamo vedere tutto (e per converso nulla, ma questo è un altro discorso). Il nautofono ci ricorda che si può fare un giro, la notte, e perdersi un po’ nella nebbia. Vedere con occhi nuovi le solite case che assumono sembianze psichedeliche. Sentire rumori felpati e ottusi, come fossero lontani pure se sono vicini. Una società a bassa definizione che ci costringe gentilmente a ascoltare i nostri passi e il nostro respiro. Della nebbia sappiamo inoltre che “Se la morte è così, non mica è un bel lavoro”. La nebbia ci costringe a riflettere sui nostri limiti. Infatti, la morte è stata espulsa dalla nostra società. Un tempo era il contrario della vita. Poi l’abbiamo rimossa del tutto: tanto possiamo vivere sulla Rete. La nebbia ci ricorda che la morte fa parte della vita. E tutti noi sogniamo di addormentarci ancora una volta col suono del nostro nautofono.
* Docente di Sociologia - Università di Bologna