La sagra dell’uva di Riolo sposa l’arte e i migranti reinterpretano “Il quarto stato”

Ravenna

RIOLO TERME. Che il vino sia, da sempre, strumento di incontro fra mondi diversi e veicolo di cultura, non è novità di oggi. Ma è quello che si è concretizzato alla Sagra provinciale dell’Uva, conclusasi nella scorsa settimana a Riolo Terme. All’interno del fitto cartellone, infatti, si evidenziava anche il concorso Quadro di...vino, che chiedeva ai partecipanti di personificare una tela che incrociasse il tema della festa.

L’inventiva riolese si è scatenata ma due installazioni viventi hanno colpito la giuria tanto da premiarle con un premio ex-aequo. Ad aggiudicarsi la manifestazione, immortalata opera dopo opera da Salvatore Garbo, sono stati Daniela Fognani e figlio per l’interpretazione del quadro “Ragazzi con meloni e grappoli d’uva” dello spagnolo Bartolomé Esteban Pérez Murillo (1617-1682) oltre alla cooperativa Teranga, che ha re-interpretato “Il quarto stato” dipinto nel 1901 da Giuseppe Pellizza da Volpedo. La cooperativa Teranga ospita proprio a Riolo un piccolo gruppo di richiedenti asilo e visto il volantino della manifestazione è balenata subito un’idea: «Molti dei nostri ragazzi lavorano nelle vigne come raccoglitori d’uva in un ambito dove la richiesta di manodopera è sempre molto frequente – spiega Giorgia Cavallaro, che per la azienda del terzo settore coordina il progetto –. Ci siamo chiesti come sarebbe stato dipinto il celebre quadro dell’artista alessandrino se l’avesse eseguito oggi». Succede allora che a “Gioanon” di Volpedo, modello per la figura centrale nell’originale del 1901, viene sostituito Aboubakar di Gao, nel Mali. Che ha 20 anni da compiere ad ottobre e che ha vissuto un viaggio durato anni e spaventoso fra il suo Paese, l’Algeria e la Libia (poi Italia, via Pozzallo) fuggendo dalla morte violenta prima del padre, poi della madre. Aboubakar aveva quindi 14 anni quando salì una notte di aprile su un’auto stipata, per non fare la fine di suo fratello, «perché agli orfani viene dato un mitra e vengono mandati in guerra». I gilet dei contadini di inizio ’900 diventano etnici: «Abbiamo utilizzato stoffe giunte dal Senegal – prosegue Giorgia -. E gilet e cinture le ha cucite Samson, nigeriano. Il progetto che abbiamo compiuto aveva soprattutto un fine sociale. Così come il quadro di Pellizza doveva dare un’identità ai braccianti, allo stesso modo trovavamo importante che l’avessero anche i lavoratori di oggi di origine straniera, perché siano consci del loro ruolo nella società». E così, Il (nuovo) Quarto Stato assume tinte diverse. I colori veri dell’attualità.

Newsletter

Iscriviti e ricevi le notizie del giorno prima di chiunque altro Clicca qui