L’elenco delle violazioni in materia di sicurezza sul lavoro occupa un’intera pagina nel capo d’accusa. E fra queste spicca quella forse più clamorosa: il fatto che l’autista della pala gommata che il 19 agosto 2020 travolse e uccise Franco Pirazzoli nel piazzale della Ifa srl, non fosse mai stato sottoposto dal datore di lavoro alla visita medica di idoneità, dalla quale sarebbe probabilmente emerso che il conducente era in cura al Servizio per le tossicodipendenze. A ormai due anni di distanza dal dramma, mette i brividi il quadro emerso al termine delle indagini coordinate dal sostituto procuratore Cristina D’Aniello, volte a fare luce sul decesso del portuale. Una morte bianca scambiata in prima battuta per un malore, che ora vede tre persone destinatarie dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari; si tratta dell’amministratore unico dello stabilimento di via Baiona in cui si verificò l’incidente, oltre alla titolare della Staggi srl, azienda per la quale lavorava la vittima (sono entrambi difesi dall’avvocato Carlo Benini), a cui si aggiunge lo stesso autista del mezzo (assistito dall’avvocato Stefano Dalla Valle) che durante una manovra in retromarcia non lasciò scampo all’operaio 60enne, che un mese dopo sarebbe andato in pensione.
La dinamica
Secondo la ricostruzione fatta dalla medicina del lavoro, quel giorno Pirazzoli stava lavorando nel piazzale della Ifa quando fu inavvertitamente travolto dalla pala gommata condotta dal dipendente fornito della Staggi per la costruzione e la gestione degli impianti industriali. Era stata l’autopsia a evidenziare un trauma toracico con fratture multiple, compatibili con un investimento. E a quel punto erano partite le indagini.
Norme non rispettate
Il risultato è ora scritto nero su bianco nell’avviso che prelude all’intenzione della Procura di esercitare l’azione penale. Vengono contestate omissioni sulla sicurezza dei luoghi di lavoro, degli impianti, dei dispositivi e delle attrezzature, secondo l’accusa non sottoposti a regolare manutenzione tecnica. Riscontrate anche irregolarità nei requisiti minimi previsti per il tunnel di carico e altre postazioni lavorative all’aperto; inesistenti vie di circolazione riservate ai mezzi e distinte dalle aree pedonali, tanto che le attività venivano svolte, secondo l’accusa, «in completa promiscuità». Nessuna traccia di segnaletica di sicurezza. Infine, sarebbe stato compito suo inviare il conducente della pala gommata alla visita medica preventiva, per valutarne l’idoneità alla mansione alla quale era stato destinato; invece solo durante al controllo successivo all’incidente è emerso che il dipendente era seguito dal Sert. Si sommano poi altre violazioni contestate anche alla responsabile alla sicurezza della Staggi Srl, la quale non avrebbe adeguatamente considerato i rischi e indicato, in sinergia con il dirigente della Ifa, le misure di protezione e prevenzione. Un coordinamento che sarebbe stato invece necessario, attestata la «scarsa illuminazione» nel luogo dell’incidente, dove erano in corso le operazioni di spostamento delle pareti mobili di cemento dei magazzini.
La comunicazione tardiva
Infine è emerso che anche la vittima stessa, nonostante gli anni di esperienza che lo avevano portato a un passo dalla pensione, non aveva ricevuto adeguata formazione né materia di sicurezza né relativamente ai rischi connessi alle mansioni a lui affidate. In pratica una tragedia annunciata, con un’ulteriore ombra a suo tempo rimarcata dai sindacati, non appena la notizia del decesso era trapelata. Avevano attaccato l’azienda per presunti ritardi riguardanti la comunicazione della morte da parte dell’azienda all’Autorità portuale, come previsto dai protocolli.