“Mio marito disabile per una radice e per le assicurazioni siamo fantasmi”: la battaglia di una famiglia di Meldola dopo una caduta a Lido di Classe
«Quel pomeriggio di estate eravamo una famiglia normale e felice che pedalava insieme verso il mare. Poi una radice di un albero, su una strada di Lido di Classe, ha cambiato tutto. Massimo è caduto. E con lui tutta la nostra vita. Un mese di coma, la riabilitazione, l’invalidità. Un dramma a cui si è aggiunta una beffa: quella di un risarcimento mai concesso e di un continuo rimpallo tra burocrazia e assicurazioni»
L’incidente
Francesca Flamigni, è una madre e moglie di Meldola, ed ex imprenditrice nel settore dell’estetica. Ex perché anche il suo lavoro, così come le sue certezze, sono svanite il 13 luglio del 2022. «Quel giorno eravamo in vacanza a Lido di Classe - racconta Francesca - dove io e mio marito avevamo preso in affitto un appartamento per noi e i nostri quattro figli».
La voce di Francesca non si spezza mai. Così come la determinazione nel raccontare una vicenda che lascia smarriti per i suoi contorni quasi kafkiani. «Stavamo pedalando in via Pigafetta verso la spiaggia. Io ero avanti con il mio figlio più piccolo che aveva 4 anni. Non mi sono accorta di nulla. Non ho sentito nemmeno un rumore o altro. Ho capito che qualcosa non andava quando Massimo non arrivava. Sono tornata indietro e l’ho visto a terra, soccorso da altri passanti. Tra cui una testimone che ha assistito alla scena: ha visto la bici di mio marito prendere una radice di un albero che sporgeva dall’asfalto e cadere. Una caduta rovinosa - continua Francesca - lo hanno portato al Bufalini, dove è arrivato in condizioni disperate. Dopo la prima operazione si è aggravato ulteriormente; sembrava non ci fossero speranze, ma ce l’ha fatta. Dopo un mese di coma è uscito dall’ospedale, ma era solo l’inizio di un tunnel». Sì perché Massimo purtroppo comincia a soffrire anche di crisi epilettiche mai avute prima, ha problemi di deambulazione, non usa la parte sinistra del corpo. Oltre a gravi problemi psicologici. Il danno biologico viene fissato oltre al 90%, così come la sua invalidità permanente. In pratica è come un bambino che deve reimparare e scrivere e a parlare.
Il calvario
«Massimo aveva bisogno di me 24 ore su 24 e allora non ho avuto altra scelta che vendere il mio centro estetico - racconta Francesca - per far fronte alle spese e comunque non avevo il tempo per lavorare».
Dopo mesi di riabilitazione la situazione di Massimo migliora, ma è un miglioramento relativo, perché i problemi cognitivi sono indelebili. «Aveva 46 anni al momento dell’incidente e ha rifiutato la pensione anticipata, provando a tornare al lavoro con nuove mansioni grazie alla grande disponibilità dell’azienda che non finirò mai di ringraziare. Ma purtroppo non ce la faceva e alla fine ha accettato l’inabilità al lavoro e una pensione che purtroppo non è certo quella che avrebbe maturato per anzianità».
Battaglia a carte bollate
E qui comincia la seconda grande battaglia di Francesca e della sua famiglia, quella per un risarcimento. «Dopo i fatti ci siamo rivolti all’assicurazione del Comune di Ravenna tramite un legale - spiega la donna -. Sin dall’inizio non volevamo affrontare una causa in sede civile. Avevamo dei testimoni, c’erano delle foto chiare di quelle radici sporgenti a Lido di Classe di cui si parlava da tempo. Pensavo fosse abbastanza per ottenere il risarcimento che ci spettava, ma da lì è cominciato un balletto tra assicurazioni. C’era quella per manutenzione ordinaria e quella per manutenzione straordinaria. Ci hanno rimbalzato ovunque, fino a quando ho provato a scrivere al sindaco di Ravenna, Michele De Pascale, lo scorso agosto. Dopo qualche giorno la sue segreteria mi ha contattato; fissandomi un incontro con l’assessorato competente, quello ai lavori pubblici, per il 2 ottobre. Appuntamento che viene poi spostato all’8 ottobre, ma il giorno prima mi chiamano per dirmi che c’era stato un problema e l’incontro salta ancora. Fino a pochi giorni fa quando mi chiamano, ma non riesco a prendere la chiamata in tempo e allora rinviano di nuovo. Immaginatevi come mi sono sentita. E’ allora che decido di rivolgermi alla stampa. So che siamo in campagna elettorale e mi creda non è stato facile, ma pensavo di meritare maggiore considerazione. Ho sempre avuto toni civili, concilianti ma ora sono disperata. Mettiamo insieme a fatica i soldi per riuscire fare la spesa e a pagare il mutuo della casa che avevamo preso assieme solo due anni prima dell’incidente e una causa mi costerebbe 15mila euro solo per cominciare, non abbiamo quei soldi».
I soldi mancano, ma la dignità no. «Lo devo a Massimo. Ai miei figli. Sono loro quelli che soffrono di più. Un giorno uno di loro mi ha detto: Mamma, Massimo è tornato, ma è tornato solo il suo corpo. Cosa mi aspetto? Solo quello che è giusto, e almeno un po’ di considerazione».