Si riparte da capo, da Ravenna, dove l’assoluzione lampo in primo grado per l’ex primario e l’ex caposala dell’ “Umberto I” sembrava avere troncato ancor prima del nascere il processo per morte sospetta della paziente Rosa Calderoni. Era infatti il 15 novembre di un anno fa quando la Corte d’assise del tribunale bizantino chiuse già alla prima udienza il processo nei confronti del 72enne di Bologna Giuseppe Re e della 66enne di Fusignano Cinzia Castellani, dirigenti dell’ospedale di Lugo quando in corsia c’era ancora Daniela Poggiali. Con l’ex infermiera 49enne, incriminata nel 2014 con l’accusa di avere assassinato la paziente 78enne l’8 aprile di quell’anno praticandole iniezioni letali di potassio, anche l’allora primario e caposala erano stati chiamati a rispondere di omicidio volontario (con dolo eventuale), per non avere colto i campanelli d’allarme riguardo la figura della Poggiali.
L’assoluzione
Un anno fa, appunto, il processo nei loro confronti si era risolto in primo grado con un raro colpo di scena pronunciato dalla Corte ravennate presieduta dal giudice Michele Leoni, estensore delle motivazioni con le quali veniva troncato il procedimento penale ormai in stallo da due anni e mezzo: Re e Castellani erano stati assolti “perché il fatto non sussiste” ai sensi dell’articolo 129, che consente al giudice di decidere d’ufficio pronunciandosi direttamente nel merito qualora ravvisi gli elementi per escludere la colpevolezza degli imputati.
Il ricorso della Procura
Contro la sentenza aveva però presentato ricorso direttamente alla Suprema Corte il sostituto procuratore Angela Scorza, ponendo all’attenzione degli ermellini questioni di diritto, contestando i punti salienti delle motivazioni. Partendo da quanto accaduto - da quel colpo di scena di un anno fa - aveva ripercorso il processo nei confronti dei due imputati, incardinato il 27 febbraio 2019 e rinviato ben quattro volte in attesa (e nella speranza) di una sentenza risolutiva nei confronti dell’ex infermiera, condannata all’ergastolo in primo grado e poi passata attraverso un rimpallo di assoluzioni e annullamenti tra Appello e Suprema Corte. Tutt’ora la Poggiali, tornata in libertà il 25 ottobre 2021, attende che la Cassazione si pronunci sul ricorso presentato dalla Procura Generale dopo la terza assoluzione per la morte di Rosa Calderoni (la sentenza di non colpevolezza per il decesso di un altro paziente, il 94enne Massimo Montanari, costata in primo grado la condanna a 30 anni in abbreviato, è invece divenuta definitiva).
I punti sollevati dall’accusa
Per la Procura, a ex primario e caposala viene contestato un “reato omissivo improprio”: rimanendo cioè inerti e decidendo di non intervenire nei confronti dell’infermiera sulla quale già circolavano voci allarmanti, non avrebbero evitato la morte della paziente, secondo l’accusa cagionata proprio dalla Poggiali. E poco importa, prosegue l’argomentazione, se non era nei poteri di entrambi i dirigenti rimuovere la dipendente, come scritto nel documento dell’assoluzione. Avrebbero dovuto segnalare la situazione agli organi disciplinari, cosa che non fecero. E pertanto ipotizzare che anche un eventuale loro esposto si sarebbe potuto scontrare con l’inerzia di altri enti o soggetti, non è sufficiente ad attenuare la loro responsabilità. Si ripartirà dunque da Ravenna. Dove gli imputati - Re assistito dall’avvocato Tommaso Guerini, Castellari difesa dai colleghi Paola Brighi e Piero Venturi - dovranno comparire davanti a una nuova corte d’assise, per un processo che vedrà presenti le parti offese (rappresentate dagli avvocati Maria Grazia Russo e Marco Martines per i familiari della defunta, nonché l’Ausl), e che è facile tornerà ad attendere che sulla vicenda principale, quella legata al presunto omicidio di Rosa Calderoni, venga scritta una volta per tutte la parola fine.