Il fotoreporter premio Pulitzer di Lugo: “I bombardamenti non finiscono Beirut sud è ormai un deserto”

Lugo

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Il fotoreporter Lorenzo Tugnoli risponde al telefono da Beirut, la capitale del Libano funestata dagli attacchi di Israele: «Sono arrivato dieci giorni fa, quando è iniziata la nuova escalation. Mi trovavo in Giordania e ho preso il primo aereo». Tugnoli, nato a Lugo nel 1979 e un’infanzia trascorsa a Sant’Agata sul Santerno, conosce benissimo il Medioriente: sposato con una donna libanese, ha vissuto 8 anni a Beirut per poi trasferirsi a Barcellona con la moglie, nel 2019 ha vinto il premio Pulitzer per un progetto fotografico sulla crisi umanitaria in Yemen e da anni collabora con il giornale statunitense Washington Post, che l’ha inviato anche su questo nuovo, ennesimo teatro di guerra.

«Conosco la lingua e so come muoversi, ma per spostarsi è inevitabile dover interagire con Hezbollah che controlla il territorio. Probabilmente si tratta della milizia mediorientale più strutturata, qualche giorno fa ha anche organizzato una sorta di tour con i giornalisti nella parte sud di Beirut bombardata. Ci sono zone completamente deserte, ormai abbandonate dalla popolazione civile».

Il pericolo nella capitale è continuo e l’intera porzione meridionale del Libano sta vivendo un drammatico esodo di civile: «I rifugiati interni hanno già raggiunto il milione - spiega il fotografo - e i bombardamenti non finiscono: la notte scorsa (tra sabato e domenica, ndr) ce ne sono stati 15 nella parte sud di Beirut. Ci sono stati anche tentativi di incursione israeliani nei territori meridionali, ma per ora sono rimasti tentativi isolati, non una vera e propria invasione come avvenuto nel 2006. Questo conflitto è frutto di una geopolitica complessa: non ci sono solo Israele e Palestina, ma anche Iran e Yemen. E la situazione sembra solo espandersi e peggiorare». In questo contesto, i civili sono le prime vittime: «Il problema umanitario è enorme, le persone dormono nelle scuole e in altri edifici. Ieri (sabato, ndr) ho visto persino una discoteca adibita a centro di accoglienza».

Oltre ai rischi per la sopravvivenza stessa, il lavoro di fotografi e giornalisti viene osteggiato in tutti i modi possibili: «Ci sono impedimenti tutti i giorni - racconta Tugnoli -. Gli uomini di Hezbollah sono ovunque, anche nelle aree che non sono sotto il loro diretto controllo. Ci fermano, chiedono i documenti e le credenziali stampa e in genere ci dicono di andarcene. L’altro giorno, ad esempio, ci hanno mandato via dal campo profughi palestinese di Chatila. In alcune scuole a sud dove volevamo parlare con i rifugiati i miliziani ci hanno fatto capire che la nostra non era una presenza gradita».

Tugnoli si muove in gruppo con altri giornalisti e traduttori libanesi ed americani, organizzando viaggi in troupe in luoghi dove le condizioni di sicurezza consentono di arrivare. Sa quando è arrivato, ma non quando tornerà a casa: «Non ne ho idea - dice -. So che c’è una grande spinta al livello internazionale per il cessate il fuoco, ma la parola finale spetta agli israeliani: sono loro a dover smettere di bombardare».

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