Aveva denunciato il marito, sostenendo di vivere in un regime di prevaricazione, con continui maltrattamenti patiti tra le mura di casa, da dove – così aveva detto alle forze dell’ordine – le veniva impedito di uscire per andare a scuola a imparare l’italiano o per frequentare altre persone. Una sorta di prigionia, quella lamentata da una donna di origini marocchine di 33 anni, per la quale il marito, un suo connazionale 41enne, era finito a processo con l’accusa di maltrattamenti in famiglia. Accuse che ieri sono cadute. L’uomo, difeso dall’avvocato Raffaele Coletta, è stato assolto con formula piena dal giudice Federica Lipovscek per non aver commesso il fatto.
La denuncia
I fatti contestati risalgono al periodo che va dall’ottobre del 2017 al febbraio del 2018. La donna aveva riferito di essere totalmente succube dei dogmi imposti dal marito; sarebbe stata costretta ad andare a scuola di nascosto, obbligata altrimenti a mandare un messaggio al coniuge per chiedergli il permesso di uscire di casa. Non poteva inoltre uscire con le amiche né andare al mercato a fare la spesa, perché lasciata senza soldi. A queste accuse aveva aggiunto anche episodi di violenze fisiche e psicologiche. Si era confidata, utilizzando Google translate, con la sua professoressa di italiano, con la quale si era poi recata dai carabinieri. Alla luce di tutto ciò ieri il vice procuratore onorario Annalisa Folli ha chiesto la condanna a un anno e mezzo.
La difesa: tutte invenzioni
L’imputato, incensurato e in Italia da diversi anni, ha sempre negato ogni addebito. Insieme al suo difensore, aveva ricostruito una diversa versione dei fatti, per spiegare la ragione di quella che avrebbe bollato come una calunnia dettata da una ragione ben precisa: sarebbe stato proprio lui, nel febbraio del 2018, a decidere di avviare le pratiche di separazione in Marocco. Preoccupata di dovere lasciare l’Italia per affrontare la causa e non poter più fare ritorno, la moglie si sarebbe inventata tutto, chiedendo poi protezione a un’associazione che tutela le vittime di violenza di genere. Accuse, secondo il legale del 41enne, piene di contraddizioni. Ne sarebbe prova anche il referto del 118 che aveva dimesso la donna con una prognosi di 5 giorni giustificati dal suo stato emotivo e non dalle asserite percosse subite. In aiuto della difesa sono andate anche le testimonianze di amici comuni che, raccontando di una coppia felice (quanto meno nei primi tempi) hanno messo in dubbio quanto riferito dalla parte offesa, peraltro mai costituitasi parte civile.