La tavola coloratissima con i "fermentati" di Giulia Pieri
CESENA. La tavola imbandita da Giulia Pieri nella sua cucina-laboratorio è un trionfo di colori. Anzi un vero e proprio… fermento. Nel giro di pochi anni la cuoca cesenate, già specializzata in cucina «vegetale, integrale e probiotica», si è conquistata un posto di rilievo nel mondo antico e ultimamente anche un po’ di moda, dei fermentati. Rimasta affascinata da questi cibi durante i suoi viaggi intorno al mondo, e soprattutto in Asia, ci si è avvicinata grazie alla conoscenza con il medico Fabio Piccini di San Sepolcro, poi con la collaborazione avviata con Carlo Nesler, esperto in fermentazione e titolare dell’azienda di produzione Cibofficina. L’ attività principale di Giulia Pieri, ora come ora frenata dalla pandemia, è quella di insegnare questo modo antico di conservare e trasformare il cibo in collaborazione con i batteri buoni. Corsi a cui partecipano appassionati ma anche professionisti, che sempre più spesso autoproducono, a loro volta, cibi fermentati per insaporire i loro piatti. È un dato di fatto, del quale ci si è forse dimenticati a lungo, eccetto laddove qualcuno non ha mantenuto vive alcune preparazioni casalinghe senza nemmeno pensare che, di fatto, stava fermentando: l’uomo ha scoperto che il latte poteva diventare formaggio, che i chicchi dei cereali bisognava macinarli in farina e mischiati all’acqua si trasformavano in pane, che certe verdure messe sotto sale cambiavano e si mantenevano più a lungo. Nei secoli, senza sapere cosa fossero i batteri, gli uomini hanno collaborato con loro, imparando a usare a proprio vantaggio il loro “lavoro”, ed è successa la stessa cosa in tutto il pianeta. «Un’esperienza che noi però abbiamo in larga parte perso con il sopravvento dell’agroindustria – sottolinea Giulia –. Tanto che ci siamo disabituati a certi sapori e il timore è quello di non saper più riconoscere quello che è “buono” e sicuro, da quello che non lo è». È questa la ragione per la quale Giulia Pieri ricette non ne dispensa se non ai suoi corsi, che non fa nemmeno on line, «perché c’è bisogno di annusare, assaporare, capire dal vivo di cosa stiamo parlando».
Cucina viva
E infatti quella dei fermentati è una cucina viva, in senso letterale. «È vero che una fermentazione fatta nella maniera giusta considerando temperatura, sale e acidità, sviluppa un ecosistema sicuro. Ma appunto bisogna averne esperienza diretta per sentirsi sicuri di quello che si sta facendo e leggere e replicare una ricetta non basta, occorre prima un po’ di preparazione, capire cosa sia un processo di fermentazione, assaggiare e annusare. Non stiamo eseguendo una semplice ricetta, stiamo allevando microbi e chiedendo la loro collaborazione», ripete spesso Giulia, che quindi per spiegare di cosa si sta parlando, nell’attesa di tornare a fare corsi, preferisce invitarti ad assaggiare i suoi fermentati, a scoprire con il tuo palato e il tuo naso che fermentando verdure, legumi, cereali, mutano e generano sapori intensi e particolari, che non ti aspetti o nemmeno conosci: il sapore si concentra, oppure si modifica completamente. «E si potenzia. Ormai è letteratura: i cibi fermentati possono concorrere anche a migliorare lo stato di salute, potenziando il sistema immunitario, di chi li assume in maniera costante. Fermentando si arricchiscono di enzimi, le vitamine si concentrano, ma diventano anche più digeribili e assimilabili».
Conserve di inverno
Se ti fai le olive o i capperi in casa, di fatto li fermenti. Anche se ti invasetti una giardiniera, o i carciofini, come si faceva una volta stai fermentando. E quante cose si fanno con 15 grammi di sale e un chilo di verdura, e basta. Ad esempio adesso è la stagione dei cavoli, dei finocchi, delle carote, ma anche degli agrumi ad esempio, tutti ricchissimi di vitamina C e buoni per le fermentazioni. «Non è un caso che la fermentazione sia maggiormente sviluppata in paesi con una minore varietà di vegetali e che quindi ha messo a punto un valido sistema per garantirsi un adeguato apporto di vitamine anche per l’inverno –spiega Giulia Pieri –. Basta pensare ai crauti che sono un vero e proprio concentrato di vitamina C. Ma adesso si possono fermentare anche molte altre verdure come cavolfiori, rape, finocchi, cipolle, porri, aglio, pastinaca».
Menù in fermento
«In questo periodo sto finendo un libricino di ricette per utilizzare i fermentati in cucina – spiega Giulia Pieri –. Spero di riuscire a pubblicarlo entro Natale e vorrei che fosse utile a chi ha imparato a fermentare almeno alcune verdure per utilizzarle in cucina e arricchire la propria cucina quotidiana». E anche per colorarla… perché se c’è una cosa che colpisce sedendosi davanti a una tavola imbandita di fermentati sono innanzitutto i colori. Si può partire con il kimchi, ricetta coreana che unisce verdure (carote, cipolle, pastinaca, dykon) e aromi ovvero zenzero, peperoncino e aglio e si abbina a un riso neutro o al pane, su cui si spalma benissimo una salsa di sesamo e tahina. Un assaggio di crauti (cavolo cappuccio bianco o rosso) e cetrioli in salamoia non può mancare, come i carciofini acidificati in modo naturale, ma Giulia propone fermentate anche le carote e le inusuali e particolarissime radici della “barba di becco” che si raccolgono in autunno. «Mettendo a contatto col sale le verdure, di fatto avvio al fermentazione selezionando ceppi di batteri specifici» sintetizza Giulia. Il risultato è un sapore intenso, con una punta di acido ma non invadente, con un poco di dolcezza. Lasciando addensare il kefir semplicemente in un telo di cotone si forma il concentrato formaggio spalmabile, da unire gradevolmente a polpettine di ceci fermentati, e sempre coi ceci fermentati ottiene un’ottima cecina. Manco a dirlo, tutti gli insaporitori Giulia Pieri li prepara da sé. Come il shio kogi (cerali cotti al vapore e lasciati convivere con una muffa particolare che li attacca naturalmente. O il miso, «che io faccio sempre con due cereali, ad esempio orzo e riso, e vario sul legume usando ceci, lenticchie o piselli, ovvero i nostri legumi e non necessariamente la soia, ma anche con la frutta secca come ad esempio i semi di zucca. Con il miso si può ad esempio mantecare una pasta. In generale questi insaporitori evitano di ricorrere al sale per valorizzare ancora meglio i piatti». «Certo per iniziare a fermentare occorre riflettere un po’ su stessi, decidere di strutturare i propri tempi di vita diversamente, mettendo in conto che quello che si vuole mangiare va preparato a volte anche con alcuni giorni di anticipo. Oggi può essere difficile, ma la soddisfazione alla fine è grande». Parola di Giulia Pieri.