Nel santuario della natura
Vale la pena muoversi all’alba da Badia Prataglia, un po’ perché la tappa da percorrere è lunga e merita soste senza ansia, un po’ perché ci si gode il brulicare di questo dolce paese di montagna. La tappa è sviluppata interamente all’interno del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona, Campigna: 20 chilometri di crinale appenninico ammantati di fitte foreste che abbracciano il cuore del parco nazionale più boscato d’Italia, con l’85% di superficie coperta da alberi su oltre 36mila ettari, territorio equamente diviso fra l’Emilia-Romagna e la Toscana, tra le province di Forlì-Cesena, Arezzo e Firenze.
Lasciato l’arboreto e il museo Carlo Siemoni, ingegnere forestale boemo chiamato ad amministrare le Foreste Casentinesi nel 1837 dal Granduca di Toscana Leopoldo II, ammirata la millenaria Abbazia, si sale per la strada verso Vetriceta, grazioso aggregato residenziale su versante boscato. Si prosegue su una carrareccia tra boschi e pascoli fino ad un campeggio dove si incrocia la strada asfaltata. Da qui il sentiero 84, con una salita di circa 400 metri di dislivello nel bosco, costeggia il torrente Fosso di Fiume d’Isola finché con una dolce salita ci si trova a Passo Fangacci dove si trova il Rifugio Onorio Mellini, concesso in autogestione, punto in cui parte il sentiero che costeggiando il Fosso degli Scalandrini conduce alla Foresta della Lama, uno dei luoghi emblematici del Parco Nazionale: una gita a sé che vale assolutamente la pena di programmare. Si lambisce il Poggio Tre Confini (e quante volte nella toponomastica di questi luoghi troviamo nomi legati al numero magico “tre”) e si riprende lo 00 proseguendo in leggera discesa dentro un bosco di aceri e faggi fino al Prato alla Penna, ampio spazio raggiungibile in auto da cui prendere il sentiero 74 sulla sinistra che, con una discesa nel bosco di circa 100 metri con intersezioni sulla carrozzabile, conduce all’improvviso alla vista sulla cinta muraria del Sacro Eremo di Camaldoli.
Ci sono due aspetti che toccano il visitatore di questo sacro luogo: la spiritualità profonda ed intima ed il soave intreccio tra natura e opera umana con le sue equilibrate architetture. La prima, al di là delle diverse sensibilità, è oggettiva per la sua millenaria storia da quando San Romualdo scelse nel 1012 questo luogo per la sua spiritualità. Il secondo aspetto è nella simbiosi perpetuata nei secoli tra i monaci e il loro bosco e se oggi possiamo ammirare questa imponente e slanciata abetaia lo dobbiamo alla loro scientifica e paziente attività di selvicoltura. La comunità benedettina è presente nelle due case, il Sacro Eremo e il Monastero posto più a valle, corrispondenti alle due dimensioni fondamentali dell’esperienza monastica, la solitudine e la comunione. È bene informarsi anticipatamente sugli orari delle visite guidate per assaporare a fondo questi luoghi soavi...e magari prima di ripartire alleviare il corpo con uno dei distillati prodotti dai monaci!
Riprendendo il segnavia 68 si sale tra gli abeti bianchi per 150 metri d’altezza raggiungendo il sentiero di crinale 00 e ci si accorge subito del cambio di ambiente. Inizia la grande traversata dello spartiacque tra Romagna e Toscana, con i suoi leggeri saliscendi, la faggeta che avvolge e dona sporadici sprazzi di luce e di visuale. Si lambisce il Giogo Seccheta godendo dell’ampio varco erboso del Prato al Soglio e poco dopo, sulla destra, una fonte con un bel luogo di sosta. Dopo il Passo del Porcareccio comincia la sequenza intimidatoria dei cartelli segnalatori: è il confine della riserva integrale di Sasso Fratino. Nessuno, se non per motivi comprovati e autorizzati di studio e ricerca, può accedervi.
Inserita il 7 luglio 2017 dalla Commissione Unesco nel Patrimonio Mondiale dell’Umanità tra le faggete vetuste europee, questo lembo di foresta distesa lungo ripidi e inaccessibili pendii deve la sua integrale conservazione quale santuario della natura alla lungimirante intuizione di Fabio Clauser che in qualità di Amministratore delle Foreste Demaniali Casentinesi nel 1959 fece ciò che non era mai stato fatto: bandire l’uomo da un pezzo consistente di territorio, quasi 800 ettari, per conservare integralmente la natura del luogo e la sua biodiversità.
Non si può fare a meno di incantarsi dinnanzi a questo ripido versante, alla costellazione di faggi enormi intervallati da aceri montani che sembrano divincolarsi dai relitti che affastellano il sottobosco. D’improvviso ci si trova dinanzi al rotondeggiante Poggio Scali (1520 m), punto più alto della tappa: la delicatezza della cotica erbosa impone di evitarne il calpestio, invitandoci a raggiungere la sommità solo attraverso il sentiero indicato. La limpidezza del cielo consente di spaziare all’infinito, almeno fino a quando l’incedere del margine della faggeta non avrà soppiantato l’intero colle.
Riprendendo il sentiero avvolti dalla fitta foresta e circoscrivendo Poggio Pian Tombesi, si apre improvvisamente a sinistra una vista panoramica a perdita d’occhio sulla Romagna, con in basso la lingua azzurra del lago artificiale di Ridracoli. La parte terminale della tappa è in leggera pendenza sempre all’interno della faggeta monumentale, notando sulla sinistra delle grandi depressioni nel terreno che sono inghiottitoi carsici modellati dal deflusso millenario delle acque. Si conclude, sempre sullo 00, al Passo della Calla, dove è possibile ristorarsi e se si è stanchi pernottare in un vicino rifugio oppure rientrare nel tardo pomeriggio con la linea 132 lungo la valle del Bidente fino a Forlì. Il tracciato proposto, con tre giorni di cammino, permette l’accesso e il ritorno con i mezzi pubblici, un percorso ad anello nel segno della sostenibilità. Un tracciato che ha l’ambizione non celata di far conoscere quale meraviglia è svelata in questo tratto dell’Appennino tosco-romagnolo.