Nei feudi dei guidi
Per torri, rocche e castelli sulle orme dei Conti Guidi. Ovviamente, in sella alla propria specialissima. Pedalando nell’entroterra fra Faenza e Forlì è facile, infatti, imbattersi nelle vestigia dell’antico splendore di quella che fu una delle maggiori casate dell’Italia centrale capace, all’apice del proprio potere, di contare oltre 200 fortificazioni fra Romagna e Toscana. Passando da una valle all’altra, da quella del Sintria a quella del Lamone, dal Tramazzo al Montone, attraverso passi arcigni come il Casale o mitici come il Trebbio, da poco riaperto dopo gli ingenti danni provocati dall’alluvione del 2023, si può compiere così un viaggio indietro nel tempo, fino al Medioevo, fra manieri e fortilizi abbarbicati su speroni rocciosi o svettanti su borghi pittoreschi.
Per rendere più affascinate la cavalcata, prima di addentrarsi nel cuore di quello che fu uno dei principali feudi dei Guidi, ovvero Modigliana, si può partire dalla vallata del Sintria, fra Faenza e Catelbolognese, altrettanto ricca di testimonianze medioevali. Il primo centro che si incontra è Villa Vezzano, risalente al 1296 e culla della famiglia Naldi, discesa in Italia con l’imperatore Ottone III. Caratteristica è la chiesetta di San Giorgio in Vezzano mentre dell’antico castello, che sorgeva a picco proprio sul torrente Sintria, rimangono oggi solo alcune tracce murarie. Con una piccola digressione, svoltando a sinistra dalla strada che attraversa il paese si può risalire, in 2,6 km, alla torre del Marino, esempio mirabile di fortificazione del XV secolo. Appena usciti da Villa Vezzano, si prosegue diritto in via Calbane (Strada provinciale 23), si superano alcuni saliscendi e, dopo un tratto in falsopiano, si scende nuovamente per affrontare la prima vera asperità del giro. Dopo la deviazione per Zattaglia, infatti, inizia la salita di via Calbane (percorsa in discesa quest’anno nella seconda tappa del Tour de France), breve (2,2 km) ma intensa, visto che la pendenza media sfiora l’8% e in diversi punti raggiunge la doppia cifra. Fortunatamente è scandita da diversi tornanti, che facilitano la scalata. Terminati questi 2 km di passione, si affronta un tratto ondulato di un paio di chilometri, fino alla deviazione per Rontana e il parco del Carnè, quindi si percorre un chilometro in leggera discesa prima della tortuosa picchiata su Brisighella (2 km), attraverso il parco della Vena del gesso, di straordinaria importanza geologica e paleontologica, testimoniata dal ritrovamento, al suo interno, dei primi fossili di vertebrati vissuti in questi luoghi oltre 5 milioni di anni fa.
Scendendo, si costeggiano anche due dei principali monumenti di Brisighella: il santuario della Madonna del Monticino, complesso architettonico del XVIII secolo, e la rocca dei Veneziani. Dopo una serie ravvicinata di tornanti si raggiunge in breve Brisighella, perla medioevale del ‘200 che può fregiarsi del titolo di uno dei borghi più belli d’Italia. Al termine della discesa, si prende la Strada provinciale 302 in direzione Faenza, la si percorre per poco più di un chilometro, si gira a destra nella Strada provinciale 56 e subito dopo ancora a destra nella Strada provinciale 49, lungo un bel viale alberato che costeggia le terme, oggi in stato di abbandono. Si supera il ponte sul Lamone e dopo qualche centinaio di metri inizia la salita al passo di monte Corno o Casale, che collega la valle del Lamone a quella del Tramazzo/Marzeno.
L’ascesa misura quasi 8 km, con una pendenza media del 5,3% addolcita da diversi tratti in falsopiano. Il segmento più impegnativo è il primo, dove si raggiungono punte del 12,5%. Poco dopo le terme, infatti, la strada si impenna, con uno strappo al 10% che termina in corrispondenza del primo tornante, superato il quale la pendenza si abbassa notevolmente (5%) e si esce allo scoperto in mezzo ai campi. Il secondo km è quasi tutto in falsopiano poi inizia la parte più impegnativa dell’ascesa, un chilometro e mezzo fra l’8-12,5% con la strada che si snoda sinuosa senza punti di riferimento né tornanti ad alleviare la fatica. Al km 1,8, infatti, ecco l’erta al 12,5%, picco massimo dell’ascesa, quindi un breve tratto all’8% seguito di nuovo da uno al 12% e, dopo il secondo tornante della scalata, uno al 9,7%. Sulla destra rifulge in tutta la sua bellezza Brisighella, con i 3 colli che dominano il borgo. Dopo il km 3 la pendenza, pur sempre impegnativa (7,7%), cala un po’, quindi si abbassa ulteriormente (5%) per concedere una tregua al km 4, con un breve tratto al 3%. La carreggiata piega a destra e si torna a salire ma senza più difficoltà proibitive: fino al km 5 si viaggia intorno al 5,5%, poi si deve affrontare breve strappo al 7,7%, ultimo ruggito della salita. In corrispondenza di borgo Fregnano, infatti, antico insediamento medioevale oggi riconvertito in location per cerimonie ed eventi, le difficoltà possono dirsi finite. Gli ultimi 3 km sono in falsopiano con qualche segmento addirittura in contropendenza, a esclusione di un tratto al 5,8% dopo il terzo tornante (km 6,5) e uno al 7,7% a ridosso del valico (490 m, dislivello 415 m), dove la vista si apre sulla valle del Tramazzo, sul monte Trebbio, sul monte Pratello e sul monte Chioda. Di qui, ci si tuffa nella ripida discesa di 4 km verso Modigliana, prima sinuosa poi con un vero e proprio toboga che conduce alle porte della principale cittadina della valle del Tramazzo, posta alla confluenza di 3 torrenti che da qui prendono il nome di Marzeno. E’ proprio per questa sua peculiare posizione che Modigliana è stata uno dei centri più colpiti sia dall’alluvione del maggio 2023 sia da quella del settembre di quest’anno, con fiumi di fango e detriti portati dagli stessi torrenti che, ingrossati oltre misura dalle piogge, hanno invaso il centro abitato e travolto case e strade.
Conclusa la discesa si gira a sinistra in via Spazzoli e davanti alla Concattedrale di S. Stefano Papa si prende ancora a sinistra via Dante Alighieri da dove si può ammirare, sempre sulla sinistra, il Ponte della Signoria (o Ponte San Donato, risalente al XVIII) spettacolare manufatto a schiena d’asino formato da 3 archi con il centro molto alto sulle acque del torrente Acerreta. Costruito al posto di uno precedente demolito da una piena straordinaria, fu detto della Signoria in quanto situato accanto alla villa “La Colombaia” il cui capo famiglia, all’epoca, era una nobildonna. Sembra che fu proprio lei a volerlo e secondo una leggenda ogni sera lo attraversava a cavallo per osservare le sue terre. Una volta, però, l’animale scivolò e precipitò nel fiume, trascinando con sé la signora, che morì. Si narra quindi che nelle notti di luna piena appaia sul ponte il suo fantasma vestito di nero e col viso insanguinato, pronta a uccidere tutti coloro che osino avventurarsi verso di lei.
Alla rotonda si gira a destra ci si avvia verso il centro di Modigliana, fra i più importanti feudi dei Conti Guidi, che lo ricevettero nel 948 dall’Imperatore Ottone I, al seguito del quale erano calati in Italia. Da semplici conti rurali, divennero signori di estesi possedimenti, al di qua e al di là dell’Appennino, fra Romagna, Emilia e Toscana, gravitando intorno all’Impero e legando il loro nome e la loro fama alle imprese d’arme. Ne resta traccia, proprio a Modigliana, l’antica Rocca, detta la Roccaccia, che come un guardiano severo e antico svetta sul paese dal crinale che divide le valli dei torrenti Ibola e Tramazzo. Edificato originariamente nell’anno mille, il castello fu ricostruito completamente nei secoli XIII-XIV ad opera appunto dei Conti Guidi di Modigliana. Attualmente, si presenta in rovina a causa dei crolli dovuti a terremoti e una frana, tant’è che dell’imponente costruzione restano solo alcuni elementi: le “portacce” e la “porta del borgo”.
L’accesso alla rocca avviene attraverso un altro monumento simbolo, la Tribuna, sormontata da un’edicola contente la statua della madonna col Bambino, con torrione circolare e due campanili. Realizzata nel XVI secolo, è la porta che immette anche all’antico borgo murato, con le sue piccole case, le strade strette e i palazzi dalle architetture preziose. Il fulcro è rappresentato da Piazza Pretorio, forse la più bella piazza medioevale della provincia di Forlì-Cesena. L’ingresso avviene dalla Porta del Borgo, ad arco, e vi si affacciano gli antichi palazzi che hanno inglobato la cerchia muraria, a partire da Palazzo Pretorio, in pietra a vista di tipo toscano trecentesco, già palazzo dei Conti Guidi e successivamente dei Podestà fiorentini, ora sede della Pinacoteca Silvestro Lega. Gli altri edifici che la circondano sono il Duomo, l’antica Pieve di Santo Stefano in Juviniano, citata sin dall’892 e dedicata a S. Stefano e Martire, l’oratorio dei SS Rocco e Sebastiano e il cinquecentesco palazzo Borghi, al cui interno la leggenda vuole sia avvenuto il “famoso baratto”.
Si narra, infatti, che nell’aprile del 1773, si trovassero qui due donne prossime al parto. Una era la Duchessa d’Orleans, ospite con il marito dei conti Borghi di Faenza, e l’altra un’italiana che vi lavorava come sguattera. Alla prima nacque un maschio, Luigi Filippo d’Orleans, che anni dopo fu acclamato re dei francesi col nome di Luigi Filippo I, e alla seconda una femmina. Poiché pochi mesi dopo la famiglia di quest’ultima vide migliorare misteriosamente le proprie condizioni, secondo la leggenda i due infanti furono scambiati per non pregiudicare la successione al trono di Francia. Di interesse sono anche il Municipio, posto lungo corso Garibaldi, costruito nel 1915-20 sopra la grande loggia detta del Pavaglione (1861), utilizzata anticamente per il mercato del bozzolo del baco da seta, e il Museo Don Giovanni Verità, sorto nella casa natale del sacerdote carbonaro, oggi museo cittadino risorgimentale con una sezione archeologica e una sala dedicata alla guerra e alla resistenza. Durante il Risorgimento, infatti, Don Giovanni andò in soccorso di moltissimi cospiratori, recuperandoli grazie a finte battute di caccia nelle foreste intorno a Modigliana, divenuta luogo di fuga per i patrioti inseguiti dalle guardie dello Stato Pontificio in quanto appartenente al più tollerante Granducato di Toscana. Il sacerdote aiutò anche la fuga di Giuseppe Garibaldi e di Giovanni Battista Culiolo suo luogotenente, braccati dagli austriaci. La notte del 21 agosto 1849 don Giovanni li incontrò sul monte Trebbio e li nascose in casa propria a Modigliana, da dove poterono poi raggiungere Cala Martini, sul Golfo di Follonica. Oltre al sacerdote, iscritto alla mazziniana Giovine Italia e attivo in molte rivolte popolari dell’800, Modigliana ha dato i natali anche a Silvestro Lega, (1826-1895) considerato insieme a Giovanni Fattori e Telemaco Signorini fra i maggiori esponenti del movimento dei macchiaioli. Non a caso, la terza domenica di settembre il paese si anima con le Feste dell’800, in occasione delle quali quasi tutti i paesani si vestono con costumi d’epoca per riprodurre raffigurazioni viventi delle opere del celebre pittore modiglianese.
Costeggiando il centro di Modigliana, si attraversa il ponte sul Tramazzo e si procede lungo via A. Casadei, quindi, in corrispondeva di una rotonda, si svolta a destra in via monte Trebbio (SP21)e si attacca la celebre salita, affrontata più volte anche dal Giro d’Italia e dal Giro di Romagna. Complessivamente, in 6,5 km, si deve superare un dislivello di quasi 400 metri, concentrato per lo più nei primi 4 km, dove la pendenza resta inchiodata fra il 10% e il 15%, mentre quella media, per effetto degli ultimi 2 km, più agevoli, è del 6%. La strada propone subito due tornanti ravvicinati, quindi inizia un lungo drittone che taglia diagonalmente le pendici del monte Pratello, col sottostante abitato di Modigliana e i ruderi della Roccaccia sulla destra . E’ probabilmente il tratto più duro di tutta l’ascesa: si viaggia costantemente fra l’8% e il 10% con una punta massima che, se non arriva al 17% indicato dalla segnaletica stradale, ci va vicino. Superato quest’asperità, le pendenza si abbassa, ma non scende mai sotto l’8%. Si procede allo scoperto ancora per poco meno di 2 chilometri, fino a una serie di tre tornanti dove si tocca il 9%.
Proprio questo è il tratto più duramente colpito dai movimenti franosi provocati dall’alluvione del maggio 2023 e ripristinato solo quest’estate. La scalata vera e propria, di fatto, si conclude qui: la pendenza, infatti, sino alla vetta non supera mai il 3%, esclusa una breve rampa al 6,3% (5,5 km), prima del bivio per Faenza. Poiché sono ancora in corso i lavori di sistemazione della sede stradale, tale segmento è caratterizzato da diversi tratti ghiaiati, compreso l’ultimo km in falsopiano. Si guadagna così il valico del Trebbio (385 m), dove sulla destra, in un piccolo giardinetto, sorge il monumento al ciclista. Il passo separa la valle del Tramazzo da quella del Montone, che si raggiunge al termine di una picchiata di 6,4 km (attenzione al primo tratto, molto ripido). In fondo alla discesa, si svolta a sinistra imboccando la strada statale 67 tosco romagnola, un paio di chilometri prima di Dovadola, già visibile a valle con l’inconfondibile profilo della Rocca dei Conti Guidi, che si erge su uno sperone roccioso sul fiume Montone. Edificata probabilmente su antichi avamposti Longobardi, l’impianto attuale risale al XIII secolo, con aggiunte e modifiche apportate nel XV secolo. Perpendicolare alla vallata, controllava la strada che congiungeva la Romagna alla Toscana, formando una sorta di sbarramento vallivo.
La rocca si sviluppa con una caratteristica conformazione a “C” e la cortina muraria di nord est è difesa da un lato da un possente mastio alto 31 metri (probabilmente di epoca duecentesca) e dall’altro da due torrioni rotondi (probabilmente quattrocenteschi) muniti di bombardiere e posti a protezione di attacchi provenienti dal basso corso del fiume (lato verso la Romagna). L’ingresso, già munito di ponte levatoio, si trova invece sul fronte minore lato nord-ovest. In origine di proprietà degli arcivescovi di Ravenna, l’edificio passò poi di mano agli abati di San Mercuriale di Forlì, ai Monaci di San Benedetto in Alpe e infine ai Conti Guidi, che lo tennero per ben due secoli, fino al 1351 quando, al termine di un assedio di 15 giorni, fu conquistato dagli Ordelaffi di Forlì. All’arrivo del cardinale Albornoz, questi ultimi furono però a loro volta sconfitti e il castello tornò ai Guidi. Scendendo lungo la statale tosco romagnola si transita nella breve galleria proprio sotto la rocca, da anni oggetto di recupero, e quindi al momento non visitabile. Il viaggio è quasi al termine: in 18 chilometri tutti in discesa si raggiunge Forlì e, di qui, si può far ritorno in breve a Faenza.