L’impresa enologica di Stefano Bariani per riscattare i bianchi di Romagna con il suo Fondo San Giuseppe

Itinerari

Stefano Bariani guarda le sue vigne in Valpiana, Brisighella in altura. Il cielo è plumbeo anche questa primavera, ma un anno e un mese fa era molto peggio. La terra franava e si portava via pezzi del suo vigneto storico di trebbiano, le cicatrici sono ancora evidenti. «All’università ho avuto come docente Giorgio Celli, ricordo che ci raccontava dell’aquila e di come, giunta a metà della sua vita, sui quarant’anni, si strappi col becco gli artigli poi si rompa anche il becco contro le rocce. Lo fa perché possano ricrescere nuovi. Ogni anno che passa, infatti, li rende più ricurvi e questo a un certo punto non le consentirebbe più di cacciare né di cibarsi, distrugge quindi una parte di se stessa per rinascere. La natura ha la sua saggezza e noi che siamo solo ospiti di passaggio non dobbiamo arrabbiarci con lei. Per questo penso che anche l’alluvione in Romagna ci ha voluto dire questo: distruggere per rifare meglio e andare avanti, forse ci è stata data persino un’occasione». Di artigli rapaci questo gentile vignaiolo non ne sfodera, ma la caparbietà, la resilienza e la lungimiranza dell’aquila quella sì. Originario del Ferrarese è approdato in Romagna nel 2008 con un progetto chiaro in testa : creare i propri vini e partire dai vini bianchi. «Venivo da una esperienza professionale fondamentale in Piemonte, dove i grandissimi rossi comandano. Avevo lavorato con Gaja, ma volevo un progetto mio, fare il mio vino, mettere alla prova tutto quello che avevo imparato - racconta Bariani -. Quando sono arrivato con mia moglie Maria Grazia a Brisighella ho capito che Fondo San Giuseppe era il posto giusto e che avrei potuto dire qualcosa di nuovo. Pensai che per rilanciare la Romagna, allora poco conosciuta e ancora troppo poco apprezzata enologicamente, bisognasse ripartire dai bianchi». I vigneti, acquisiti in parte dall’innovatore Paolo Babini di Vigne dei Boschi, del resto erano in prevalenza bianchi. Trebbiano, la vigna di sessant’anni che la frana si è mangiata un anno fa, albana, ma anche internazionali come riesling e chardonnay. In più qui si poteva mettere a frutto l’altitudine, quei 400 metri sul livello del mare che garantiscono buone escursioni termiche, ventilazione e assicurano meglio che altrove aromi e acidità. Con le sue competenze agronomiche e appoggiandosi alla cantina Villa Papiano e al collega Francesco Bordini per le vinificazioni, Bariani ha così cominciato a dare corpo ai propri vini e a un proprio stile. Con un pensiero guida: lavorare sulle peculiarità dei terreni, ancor prima che su quelle dei vitigni. Salinità, freschezze, floreali di montagna e frutti delicati, questo raccontano i bianchi di Bariani che affinano tutti in legno. Tèra il trebbiano che rinascerà con una nuova vigna, invitante e sfaccettato, l’etichetta che per prima ha ridato rango al vitigno più diffuso e meno considerato della Romagna. Poetica nel nome e nel gusto l’albana Fiorile che sa di biancospino e ginestra. Idrocarburico e insolito il Ciarla, riesling di Romagna mineralissimo e fresco. Poi c’è il nuovo nato con la menzione Modigliana, perché da Brisighella svalicare è facile e le vigne di Bariani lo fanno. Caramore, per disciplinare trebbiano al 60%, conquista con la personalità quasi tropicale impressa dal 40% di chardonnay. E i rossi? Ci sono anche quelli e, controccorrente, loro il legno non lo vedono affatto, solo acciaio e cemento. Anche qui lo studio del terreno è la chiave. Suoli arenacei e bosco tipici di Modigliana sono la costante del ronco Rio di Brola nella valle segnata dal torrente Acerreta da cui nascono due vini differenti da due porzioni della stessa vigna: il Ca’ Bianca e il Sangiovese Modigliana “semplice”. Il primo nasce più in basso, si raccoglie prima si macera meno. Nella parte più alta temperature più fredde e una macerazione più lunga estrapolano tannini più crudi e austeri. Appaganti in modo diverso. Un lavoro rigoroso e di precisione che dalla prossima vendemmia avverrà anche nella nuova cantina. Dal 2008 infatti oltre al lavoro in vigna, Stefano Bariani ha portato avanti con la stessa caparbietà anche questo progetto. Ricavata dai resti di un fienile, con aggiunta di spazi costruiti recuperando le pietre secolari della casa padronale ridotta a rudere, la cantina ora esiste e da settembre dovrebbe essere finalmente pronta a ospitare la vinificazione, oltre agli spazi per la degustazione e un piccolo angolo abitativo per il vignaiolo, proprio accanto alla sala con i tini e le 7 vasche in cemento e alla bottaia con 70 barrique scavata nella terra. Dopo aver riscattato i bianchi di Romagna, una svolta anche per il Fondo San Giuseppe.

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