Da Cesenatico a Bologna tra sacro e profano

Itinerari
  • 21 giugno 2024

Il sacro e il profano. La seconda tappa del Tour de France in Italia, 200 chilometri da Cesenatico a Bologna, mescola alto e basso, divino e terreno. Dalla riviera romagnola, terra consacrata per antonomasia al piacere e al divertimento, si arriva infatti al santuario di San Luca, luogo di spiritualità e meditazione. In mezzo, mare, pianura, colline, luoghi ricchi di storia e arte, con la Romagna che sbiadisce pian piano nell’Emilia.

Ciclisti nel centro di Ravenna

Si parte da Cesenatico, città di Marco Pantani e della Nove Colli, la decana delle Granfondo, ma anche antico borgo peschereccio, con un pittoresco centro storico e un porto canale disegnato addirittura da Leonardo da Vinci, nel 1502. Da qui, il “peloton” muoverà verso nord toccando subito Cervia, la città del sale, abbracciata da oltre 800 ettari di pinete e 827 di salina, quindi Classe, antico porto di Ravenna, famosa per l’imponente Basilica di Sant’Apollinare, coi suoi maestosi mosaici. La carovana attraverserà infine il centro della stessa Ravenna, la città che fu tre volte capitale: dell’Impero romano d’Occidente (402-476), del Regno Ostrogoto (493-540) e dell’Esarcato bizantino (548-751). Una grandezza testimoniata dai suoi monumenti, di cui ben otto, di età paleocristiana, riconosciuti nel 1996 dall’Unesco patrimonio dell’umanità. Dalla Basilica di San Vitale al Battistero Neoniano, dal Mausoleo di Galla Placidia al Battistero degli Ariani, mosaici e opere documentano i rapporti artistici e religiosi intrattenuti fra V e VI secolo fra Occidente e Oriente, miscelando stili della tradizione greco-romana e dell’iconografia cristiana, a riprova di come Ravenna sia stata a lungo un ponte imprescindibile fra le due rive dell’Adriatico.

Dalla costa all’entroterra

Dopo l’antica capitale bizantina, si abbandonerà la costa per far rotta verso l’entroterra, lungo la via Faentina, toccando San Michele, Godo e Russi, terre un tempo paludose poi bonificate e oggi ricche di campi coltivati, messi a dura prova dall’alluvione dello scorso anno. Zone, comunque, fiorenti già in epoca romana, come mostra la ricchezza dell’antica Villa di Russi, al centro di un’importante area archeologica. Sempre Russi conserva, inoltre, le tracce dell’antico castello di età medioevale mentre sull’argine del fiume Lamone si erge il seicentesco Palazzo di San Giacomo o Delizia dei Rasponi. Ancora più vivace Faenza, capitale della ceramica, la cui antica tradizione artigianale risale al XII secolo, al punto che in molte lingue europee “faiance” è ancora oggi il nome della maiolica. Posta sulla via Emilia, la città fu, infatti, centro di scambio politico e culturale sin dal 1300, grazie ai legami intrattenuti dalla Signoria dei Manfredi coi Medici di Firenze. Non a caso, nei secoli è stata impreziosita da monumenti come il Duomo, che custodisce opere d’arte di età rinascimentale, la Fontana monumentale, coi suoi bronzi risalenti al XVII secolo, il settecentesco Palazzo Milzetti, le cui stanze sono decorate da raffinate tempere neoclassiche, l’elegante Teatro Masini e la Pinacoteca. La stessa organizzazione degli spazi urbani è di assoluto rilievo, basti pensare all’imponente Piazza del Popolo circondata da due ali porticate su cui si affacciano il Palazzo del Podestà e il Palazzo Municipale. Oltre che per le ceramiche, Faenza è famosa anche per il Palio del Niballo, una delle più antiche giostre conosciute. Proprio in giugno, i 5 rioni cittadini animano il centro con sfide fra sbandieratori e tamburini, serate gastronomiche e spettacoli, che culminano nella corsa del Palio, dove i cavalieri si affrontano nella giostra medioevale del Niballo.

Prima salita dopo Brisighella

Superata Faenza, il paesaggio cambia: la pianura cede spazio alle prime colline, fino a Brisighella, chicca medioevale del ‘200. Sicuramente suggestiva è l’antica via del borgo, nota come via degli asini, perché vi trovavano ricovero gli animali dei birocciai che qui abitavano. Si tratta di una strada coperta risalente al XII secolo, sopraelevata e illuminata da mezzi archi, che doveva servire come baluardo di difesa per la retrostante cittadella medioevale. La carovana costeggerà il centro storico per affrontare poi la prima asperità di giornata, il Monticino, salita di appena 2 km, con una pendenza media del 7,5%, scandita da 6 tornanti, dai quali si aprono scorci sulla valle del Lamone. In corrispondenza del quarto e quinto s’incrociano la Rocca dei Veneziani e il Santuario del Monticino, eretti su 2 dei 3 pinnacoli di gesso che sovrastano Brisighella. Edificata nel 1310 dai Manfredi, signori di Faenza, la Rocca deve la forma attuale, appunto, ai Veneziani che dopo il breve interludio di Cesare Borgia, durato appena 3 anni, costruirono, fra 1503 e 1509, il maschio e 2 lati delle mura. Passata successivamente allo Stato pontificio, la rocca conserva ancora tutte le sue caratteristiche medioevali, dai fori per il ponte levatoio ai beccatelli e alle caditoie fino alle feritoie e ai camminamenti sopra le mura. Lasciata la Rocca alle spalle, si dirama subito la deviazione per il Santuario del Monticino, complesso architettonico del XVIII secolo che, immerso fra i cipressi, custodisce la Sacra immagine in terracotta della Madonna con Bambino, datata 1626. Intanto, la scalata prosegue addentrandosi sempre più nel parco della vena del gesso, di straordinaria importanza geologica e paleontologica per il ritrovamento, al suo interno, dei primi fossili di vertebrati vissuti in questi luoghi oltre 5 milioni di anni fa. Tutt’intorno, il bianco dei calanchi contrasta col verde dei prati mentre lo sguardo può spaziare fino al mare. Una volta sul crinale, un veloce toboga conduce al fondovalle del Sintria e di qui a Riolo Terme, definita “Città delle Acque” per le proprietà termali, già usate in epoca romana a scopi terapeutici. La carovana attraverserà la zona nuova, edificata intorno al lussureggiante Parco delle Terme, lambendo appena il borgo antico, eretto nel ‘300 e protetto da una cerchia di robuste mura, al cui interno sorge la Rocca (XIV sec.) con le sue tre torri e il maschio quadrato.

Il “muro” e l’autodromo

Pochi chilometri lungo la valle del Senio e, a Isola, si volta a destra imboccando la salita della Gallisterna, un muro di 1.200 m al 12,8% fra calanchi, frutteti e campi coltivati. Superata l’asperità, ci si tuffa in picchiata verso Imola dove è previsto quasi un intero giro di pista dell’Autodromo “Enzo e Dino Ferrari”: il plotone farà il suo ingresso in corrispondenza della curva della Piratella per poi lanciarsi nella discesa delle Acque minerali, risalire verso la Curva Gresini, ridiscendere alla curva Rivazza, transitare davanti ai box e uscire all’altezza della torre su via Rosselli – viale Dante. Imola, tuttavia, non è solo il suo autodromo, ma vanta anche un centro ricco di gioielli tutti da scoprire come la Rocca Sforzesca, dai cui suggestivi camminamenti si gode un panorama a 360° dalla pianura all’Appennino, e gli eleganti palazzi nobiliari, a partire da palazzo Tozzoni, coi suoi arredi sette e ottocenteschi perfettamente conservati. Bellezze che i corridori potranno solo intuire visto che, abbandonato il circuito, percorreranno il ponte sul Santerno e raggiungeranno la via Emilia per l’ultimo segmento pianeggiante della tappa.

Il doppio San Luca

Tappa che inizia progressivamente ad abbandonare la Romagna. A fare da confine, Castel San Pietro Terme, la cittadina del Cassero, antico baluardo difensivo oggi sede del teatro comunale, e delle cure termali, la cui origine risale al 1337. Attorno al centro, che ha il suo cuore in piazza XX Settembre, da cui si diramano vicoli ciottolati e portici, è ancora possibile ammirare i resti delle mura che, nel periodo di massimo splendore, ospitavano numerosi camminamenti. L’Emilia accoglie i corridori ancora con una decina di chilometri di pianura, quindi, alle porte di Bologna (San Lazzaro di Savena) inizia il movimentato finale, con la scalata del Botteghino di Zocca (1,9 km al 6,8%), di Montecalvo (2,7 al 7,7%), e il doppio passaggio a San Luca (1,9 km al 10,6%) prima della picchiata verso il traguardo di via Irnerio, davanti alla Montagnola. La corsa toccherà quindi l’imponente Santuario della Beata Vergine di San Luca, uno dei simboli del capoluogo emiliano, costruito a partire dal 1741 attorno a un preesistente eremo documentato sin dal 1100 d. C. L’edificio, a pianta circolare con brevi bracci a croce greca, è sovrastato da una maestosa cupola e ospita, all’interno, la venerata icona della Beata Vergine di San Luca, raffigurante una Madonna con Bambino secondo la classica iconografia orientale. Impressione comune ai fedeli è che, osservandola a lungo, ci si sente poi seguiti dal suo materno sguardo. Sguardo che si poserà anche sui corridori che, il 30 giugno, si giocheranno proprio qui il successo di tappa di questa seconda storica frazione del Tour in Emilia-Romagna.

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