Il pollo romagnolo riparte da Imola e sarà Presidio Slow Food



Dopo aver rischiato l’estinzione, riparte da Imola il recupero e la valorizzazione della razza del pollo romagnolo, che entro l’anno diventerà un nuovo presidio Slow Food. Nella serata di martedì tutta a base di uova e carni di pollo autoctono, alla Fattoria Romagnola di Andrea Gentilini e Fabiola Zoffoli è stato dato l’annuncio, dopo molti di anni di lavoro appassionato da parte di allevatori custodi di tutta la Romagna. Finora c’era un solo allevatore professionale, Stefano Tozzi di Mercato Saraceno, oggi si aggiungono la stessa Fattoria Romagnola e la giovane azienda agricola Semiselvatica in Valsellustra che alleva galline romagnole solo per le uova. Di Imola è anche Davide Montanari, da una ventina d’anni allevatore custode con l’associazione Arvar, e che ha contribuito a selezionare la razza e diffonderla.
Carattere romagnolo
Abituato a razzolare in grandi spazi, in grado di volare anche sugli alberi, così da difendersi da solo da volpi, faine e altri predatori. Il pollo romagnolo fino al dopoguerra è stato una presenza fissa nelle aie contadine nostrane. Una razza autoctona mantenuta e selezionata soprattutto dalle azdore, alle quali era storicamente delegata la cura dell’aia e la vendita delle uova. Proprio perché su questa attività si fondava una parte importante delle entrate della famiglia contadina, le donne sapevano quali erano le ovaiole migliori, mettevano in cova le loro stesse uova per moltiplicare solo le più produttive e a quelle che non cantavano, perché di uova non ne facevano, si tirava il collo a volte anche un po’ prima della vecchiaia. «Questa gallina coloratissima e mimetica, frugale, trova infatti da sola il cibo spigolando nei campi – spiega il veterinario Alessio Zanon che ha curato la selezione della specie con l’Università di Parma –, fino al primissimo dopoguerra era stata portata in giro per l’Europa, esportata in particolare in Belgio, terra di molti emigranti emiliano romagnoli, per le Feste. Esce di scena con l’avvento della nuova agricoltura industriale». Non era adatta all’allevamento intensivo proprio per il suo “carattere indipendente” e soprattutto cresce poco.
Il recupero
Così quando gli agricoltori custodi dell’Arvar trovano nel Ravennate l’ultimo allevamento nel 1997, interpellano l’università di Parma, ne selezionano le uova che vengono incubate a Mercato Saraceno all’allevamento Tozzi. I pulcini ricominciano a circolare e lo scambio fra allevatori custodi diventa contagioso. «Salvata la razza bisognava attaccare un po’ di carne all’osso, accrescerne la taglia – spiega Davide Montanari –. Oggi un maschio arriva al massimo a 2,7 kg e una femmina a 2 kg. La sua crescita è lenta e per arrivare alla macellazione servono almeno sette mesi di vita nell’aia». Tempi, e pesi, molto diversi da quell’industria intensiva del pollo sia da uova che da carne. «Il fatto che Slow Food da anni si interessi di valorizzare questa razza è proprio legata al fatto di favorire i piccoli e piccolissimi allevatori, passando da un consumo moderato di carne che eviti lo sfruttamento animale secondo i canoni dell’industria, creando però una nuova occasione di reddito per i piccoli produttori», ha sottolineato Lia Cortesi di Slow Food Emilia Romagna.
Oggi in Romagna ci sono poco più di duemila polli romagnoli che razzolano liberamente all’aria aperta, è chiaro che non sarà mai un’industria. I custodi però sono tanti e c’è una sorta di affetto diffuso per questa gallina variopinta. «Gli allevatori professionali possono avere interesse a intercettare una ristorazione di qualità», conclude Montanari. Alla Fattoria Romagnola il menù della vigilia di Ognissanti a base di pollo romagnolo ha soddisfatto i molti gourmet presenti, fra cui il gastronomo Franco Chiarini a Gian Ruggero Manzoni che ha appena rieditato il celebre testo sulla cucina romagnola del padre Giovanni. Crostini di rigaglie, spoja lorda in un sontuoso brodo di pollo, polpette di lesso al sugo e una cacciatora che ha rivelato la consistenza soda di queste carni. Per chiudere latte alla portoghese, dolce antico delle feste dove la ricetta vuole dieci tuorli per ogni litro di latte.