Davide Mambelli da Imola sulle vette del Pamir: “La montagna cura ma va ascoltata”

Imola

Nella montagna ha trovato la cura per il cuore e l’anima. Ma anche un progetto per il suo futuro, così ha deciso di bruciare le tappe per diventare guida alpina, senza però venire meno a un principio: ascoltare la montagna e i messaggi che manda, per rispettarla e non correre rischi inutili. «Rischi che sono aumentati e aumenteranno nel futuro prossimo, a causa del cambiamento climatico». Davide Mambelli, imolese di 39 anni, un lavoro nel commerciale per una concessionaria d’auto e un passato da pilota automobilistico con un paio di gare nel circuito nazionale del GTI, è appena tornato dalle vette del Pamir dopo la sua prima, ma assicura non certo ultima, spedizione verso i settemila metri.

La montagna che cura

«L’anno scorso è stato per me un anno molto difficile, un brutto incidente, poi la separazione da mia moglie. Avevo bisogno di qualcosa che mi aiutasse a riemergere e la mia cura è stata la montagna - racconta -. L’inverno scorso ero sui quattromila del Monte Rosa, quest’estate sono arrivato a quota 6158 sulle montagne del Pamir in Kyrgyzistan. La meta della nostra spedizione, composta da cinque italiani più il nostro sherpa nepalese Pasang, era il Lenin Peak a 7134 metri». Durante l’ascesa, senza ossigeno e senza sfruttamento di portatori, ciascuno aveva su di sé il proprio carico, la montagna ha parlato e Davide l’ha ascoltata osando fin dove gli è parso sensato farlo, ma portando a casa con sé un’esperienza comunque esaltante.

L’ascesa e il rischio

L’avventura è cominciata il 29 luglio scorso e si è conclusa il 18 agosto con il rientro in Italia. Davide era partito con altri cinque italiani più la guida alpina Paolo Zanoli dell’agenzia Lyskamm 4000 di Alagna Valsesia. Il settimo lo hanno conosciuto sulla montagna: Pasang, sherpa nepalese di 49 anni con alle spalle sei scalate dell’Everest e una trentina di volte sopra gli ottomila. «L’obiettivo era il Lenin Peak a 7134 metri, io mi sono fermato alla tappa prima: al Razdelnaya Peak a 6158 metri, perché la montagna porta con sé l’incommensurabile bellezza di vedere il resto del mondo dall’alto, ma anche rischi importanti che ora il cambiamento climatico sta accentuando». Due episodi hanno segnato la lunga risalita partita, dopo due giorni di viaggio, dal campo base a 3600 metri. «Quella è una specie di villaggio turistico, dico io, con le tende in fila e tutti i servizi, ci sono anche famiglie. Oggi per arrivare anche in cima all’Everest bastano tanti soldi... Ma il nostro gruppo, partiva da una scelta diversa, etica: quella di rispettare la montagna e non contribuire come fanno tanti ad inquinarla. Quindi niente ossigeno, che in montagna equivale a barare, e niente portatori, ognuno aveva il proprio carico, almeno 35 chili più i vestiti e gli scarponi, sulle proprie gambe - racconta Davide -. Dal campo base siamo saliti al campo 1 a 4400 metri, è da lì che si comincia a vedere la neve e le temperature scendono anche se, è incredibile dirlo, abbiamo sofferto il caldo anche lassù. Al campo 2, a 5300 metri, abbiamo dormito letteralmente aggrappati alla montagna e di notte il suono delle valanghe e delle rocce che si staccavano, per effetto del caldo del giorno, era continuo». Lì si è verificato il primo episodio grave che ha anche convinto uno dei compagni a fermarsi lì e, realizzato che non ci sarebbe stato alcun elicottero di soccorso in caso di difficoltà, tornare a casa. «Sentivamo spesso dire che gli sherpa partivano per dei soccorsi a persone cadute nei crepacci o rimaste sotto le valanghe. Qui abbiamo visto trasportare una persona che ci hanno detto essere morta, faceva parte di una spedizione orientale».

I segnali della montagna

Mambelli stesso è stato protagonista di un incidente qualche giorno dopo. «è successo mentre riscendevo la prima volta dal campo 3, a 6100 metri, al campo 2, con tre compagni. Nell’affrontare l’ultimo canalone, dopo esserci slegati, io che ero il primo in cordata ho sentito la neve sciogliersi sotto i piedi e sono finito in un canale di ghiaccio sciolto e scivolato giù sbattendo contro le rocce per una trentina di metri prima di fermarmi grazie alle stesse rocce. Ho letto entrambi questi episodi come segnali che la montagna mi stava mandando, e aggiungendoci anche il fatto che da qualche giorno un’infezione intestinale mi stava sfiancando, ho fattola mia scelta. Ci erano rimasti solo due giorni per salire alla cima, il meteo era avverso, ho deciso di fermarmi a quota 6158, solo altri due di noi sono arrivati fino alla vetta Lenin».

La lezione del Pamir

«Per quanto mi riguarda ho scoperto che sono fatto per la montagna, perché al contrario di altri comincio a respirare bene dai quattromila in su. Non ho scompensi, non soffro di vertigini o mal di testa, sono riuscito a fare delle capriole sulla neve a 6000 metri. Mi hanno detto che è questione di genetica, in fondo ero sui miei primi 4000 solo lo scorso dicembre e per il mio compleanno il 25 maggio ero per la prima volta a 4500 sul Monte Rosa - racconta Mambelli -. Per questo continuerò ad allenarmi, per passare da guida escursionistica a guida alpina». Ma c’è anche un’altra “lezione” che Davide ha appreso sospeso sui ghiacciai del Pamir: che la montagna sta cambiando, perché il clima è mutato. «Oggi d’estate la montagna è pericolosa ovunque e di anno in anno lo sarà sempre di più - riflette Mambelli -. Non dico che non si potrà più fare alpinismo, ma certamente sarà sempre più rischioso. Ci sarà più neve quando farà freddo, come abbiamo già visto, ma in estate farà sempre più caldo e neve e ghiacci si scioglieranno sempre di più. Forse bisognerà optare più spesso per l’alpinismo invernale».

Social e progetti

La spedizione è documentata sui canali social di Davide Mambelli che gestisce le pagine Instagram e Facebook “Lasciatiguidare”. «Vorrei ringraziare lo sponsor Hora drink di Verona che produce una bevanda energetica completamente naturale a base di miele che mi è stata utilissima in quota, il Poliambulatorio 102 di via Selice a Imola che mi ha rimesso in sesto dopo l’incidente permettendomi di partire e affrontare la spedizione, il negozio Nuovi orizzonti di Bologna che mi ha fornito l’attrezzatura e il vestiario tecnico. Ma ringrazio soprattutto i miei compagni di viaggio e Pasang che verrà a trovarmi a Imola. Sto organizzando un incontro pubblico per condividere i suoi incredibili racconti di montagna e insieme con lui faremo un’escursione sulla Vena del Gesso entro la fine dell’anno». Davide ha anche un progetto più a lungo termine: «Vorrei condividere l’esperienza della montagna con persone meno fortunate, io ho trovato nella montagna la cura per me, forse può essere utile, a livello fisico e mentale, anche per altri che fin qui non l’hanno presa in considerazione, magari pensando di non potercela fare». E intanto prepara la spedizione per i suoi 40 anni, in quel caso saranno ...8000.

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