«La settimana in arrivo non sarà semplice, perché è previsto ulteriore maltempo. Chiederemo aiuto ai parlamentari, per lanciare una richiesta di danni sull'ordine non delle decine, ma delle centinaia di milioni di euro». Il presidente della Provincia e sindaco di Ravenna, Michele De Pascale, si prepara a una seconda fase dell'emergenza di non semplice gestione. Si parte da una realtà già compromessa, con ampie zone del Ravennate dove l'acqua tracimata dai fiumi non è ancora defluita. «Contemporaneamente però, stavolta, sappiamo dove intervenire per evitare ulteriori problemi».
De Pascale, a bocce ferme, cosa è successo?
«In 30 ore è caduta l'acqua che cade normalmente in tre mesi e tutti i fiumi si sono ingrossati, con il Lamone che è andato in crisi più di tutti gli altri. Io però sono stato preoccupatissimo per il Montone, per fortuna il mare ha ricevuto bene e la situazione si è calmata. Dopo che il Lamone aveva rotto a Boncellino e a Mezzano reputavamo pertanto che il peggio fosse passato, invece un cittadino ha scoperto che a San Romualdo si era aperta una crepa nell'argine. Agrisfera è intervenuta subito, in un punto anche difficile da individuare. Poche ore prima eravamo indecisi, io e Valentina Palli, sulla possibilità di evacuare Ragone. Poi anche lì l'emergenza è rientrata».
È stata questa ampia pressione su varie zone del territorio a motivare la difficoltà nella comunicazione coi cittadini, come lamentato a Faenza, Castel Bolognese e Bagnacavallo?
«Sì, io e i miei colleghi sindaci eravamo consapevoli che, se avessimo anticipato degli allarmi, avremmo potuto trovarci con anche 20mila persone che si sarebbero gettate in macchina con un'alluvione in corso. Temevamo di porre le condizioni per una strage. Eppure eravamo già tutti pronti. Parlo per me: a Ravenna avevamo posto le basi per un'evacuazione dalla capienza di 5mila persone. Avevamo i pullman per spostare i cittadini, i medici per anziani e categorie deboli, le case famiglia per accogliere i fragili, il pala de André per gli altri. Fortunatamente non ce n'è stato bisogno».
Si approssima però una settimana difficile, cosa farete adesso?
«Nel momento attuale sono due le priorità assolute: ripristinare e proteggere. Avremo diverse giornate di maltempo e i punti critici sono le rotture arginali. Se nella prima emergenza era incerto dove si sarebbero rilevate le fragilità, ora sappiamo invece dove concentrare i nostri sforzi. E la Protezione civile sta lavorando senza requie. Contemporaneamente, però, dobbiamo fare una richiesta di fondi per tutti i danni subìti».
Come verrà inoltrata?
«La prossima settimana ho convocato un incontro coi 18 sindaci, con le forze economiche e sindacali e con tutti i parlamentari del territorio, indipendentemente dal colore politico. A Senigallia, durante l'ultima alluvione, sono stati riconosciuti al territorio 400 milioni. Dai rilievi finora effettuati, noi pensiamo di avere avuto più danni di quanti se ne dovettero gestire nelle Marche. La prima decina di milioni è apprezzabile, ma serviranno centinaia di milioni per i disastri occorsi ai privati e anche per il ripristino delle infrastrutture distrutte».
Quali equilibri andranno creati nell'assetto del territorio?
«Non dobbiamo uscire da questa emergenza ricostruendo come prima. La grande paura e il dramma vissuti devono farci prendere azioni conseguenti. Intendiamoci: il fiume a Pieve Cesato ha raggiunto gli undici metri. Con un fenomeno simile i problemi non sono le alberature negli alvei dei fiumi o le buche negli argini create da istrici o nutrie. Situazioni simili ci vedono protetti solo se prevediamo invasi e casse di espansione, che aiutino nei casi di siccità e ci consentano di allagare dove vogliamo noi, prima che a deciderlo sia il caso. Ciò presupposto, c'è necessità di una seconda consapevolezza».
Quale?
«Questa esperienza ci porta su una dimensione in cui mai più potremo ascoltare le lamentele di chi non vuole che si abbattano alberi dentro agli alvei fluviali o voglia soprassedere al controllo delle specie alloctone come le nutrie, che vanno azzerate».
In queste ore la gente protesta contro il rigassificatore. Legambiente dice che non possiamo più parlare di maltempo, ma di clima malato e critica la politica che continua a difendere estrazioni e fossile. Lei cosa ne pensa?
« Io penso che chi utilizza eventi come questi per fare polemica politica non meriti commenti. Il nostro è un territorio paludoso, che abbiamo bonificato. Le protezioni necessarie all'equilibrio ambientale che abbiamo costituito non sono più sufficienti per via dei cambiamenti climatici. La deindustrializzazione non è la strada nella quale credo, penso siano necessarie nuove politiche, energetiche e ambientali».
Nel parlare di polemiche pretestuose si riferiva anche all'onorevole Morrone?
«No, questa è la fase in cui abbiamo bisogno che tutti i parlamentari locali siano mobilitati per il territorio. Non voglio alimentare contrasti».