Kayak o della libertà di navigare a pelo d’acqua, in completa autonomia, a forza di braccia, pagaiando, “carbon free” si dice oggi. Kayak o della felicità di viaggiare lentamente, per scoprire la meraviglia delle cose, scrive Emilio Rigatti nel suo nuovo libro: “La leggerezza del kayak. Piccola filosofia del navigare silenzioso” (Ediciclo, 2020, pp 90, 9,50 euro). Ma prima di seguire questo cicloviaggiatore di vecchia data e lunghi viaggi, appassionatosi anche alla straordinaria barchetta inventata dagli Inuit, abitanti delle terre artiche, concediamoci una divagazione tutta adriatica. Perché se il kayak arriva in Europa presumibilmente nel Cinquecento, per evolvere e diventare un vero e proprio sport alla fine dell'Ottocento, la parola entrerà nel vocabolario italiano solo nel 1931. Ma a Venezia c'era già una barca molto simile chiamata “sandalo a sbatole”, di cui in rete si possono vedere foto suggestive e al Museo della Marineria di Cesenatico è conservato un rarissimo esemplare in forma carnevalesca di pesciolone. Una cineseria, una divertente attrazione che i “fitabatèle” veneziani noleggiavano tra la fine dell'Ottocento e i primi del Novecento, a turisti avventurosi che volevano remare da soli per canali e rii.
Il viaggio lento
Una magia che Rigatti rinnova con il suo kayak e racconta nel libro. La prua “punta verso lo skyline che amo di più: sta appeso tra il Ponte della Libertà e l'Isola di San Michele, fitta di cipressi, con i tasselli dei campanili e delle cupole che s'incastrano perfettamente nel cielo. Acqua calma e vitrea, sole freddo e sostanzioso, dispensatore di buona luce invernale”. Luoghi più o meno consueti, lontani o vicini, tutti comunque incredibilmente suggestivi se visti andando lentamente raso acqua. Una prospettiva che il kayak offre, un modo di viaggiare di grande valore, soprattutto oggi che tutto sembra dover essere consumato nel più breve tempo possibile. “Le cose sono lì e noi non le guardiamo più”, scrive l'autore che anche in questo libro intreccia esperienze personali e riflessioni generali riguardanti la contemporaneità. Uno sguardo critico e al contempo propositivo, un invito a riflettere su vizi e virtù di quella esperienza imprescindibile che è il viaggio, anche ai tempi del voyeurismo social.
Il centauro acquatico
Rigatti invita a salire a bordo, a farsi centauro acquatico. Perché quando ci si infila dentro e si monta il paraspruzzi, il kayak e l'uomo diventano un tutt'uno. Diventiamo un corpo mitologico, metà uomo e metà insetto artificiale, organismo capace di scivolare sull'acqua, pleuston lo chiamano i biologi. Il kayak è anche esercizio sinestetico, cioè attivazione e compartecipazione di tutti i sensi alla percezione del mondo. “Ciò che ipnotizza di più è la bolla acustica in cui si è quando si naviga: lo sciacquio, lo sciabordio, lo sgocciolio, lo sciaguattare, lo scroscio, tutte le forme dei decibel con cui l'acqua entra nei canali uditivi”, racconta Rigatti. Emozioni uditive a cui s'associano quelle olfattive, non meno penetranti; odori di salso, alghe, fango, canne, pesce, fiori ed erbe delle rive, a cui s'aggiungono quelli dell'uomo e dei suoi lavori marinareschi: pece e vernice, legnami e reti. Il libro è anche un invito al viaggio, nell'infinito labirinto di lagune, foci, fiumi e canali che espandono l'Adriatico nelle pianure padane e venete o verso quell'altrettanto meraviglioso dedalo che sono gli arcipelaghi istriani e dalmati. “Io credo che l'essenza del viaggio, dell'avventura, non stia nel quoziente di pericolosità o nella stravaganza o nella lunghezza del percorso. Sta nello sguardo”. Ecco perché una pagaiata da Aquileia a Grado in un giorno d'inverno con la neve diventa esotica come un'esplorazione antartica o un lungocosta da Duino a Trieste quando il mare è spazzato dalla Bora è avventuroso come un viaggio atlantico. Se poi si decide di allargare l'orizzonte temporale, quello spaziale diventa vastissimo, anche navigando a 3 nodi, nelle grazie di Poseidone. Rigatti ha raccontato il viaggio in kayak da Trieste a Zara in “Confini blu” (Ediciclo, 2012, pp.180, € 14,90), mentre qui restituisce le atmosfere di una navigazione in kayak più recente, da Spalato a Ragusa, odierna Dubrovnik. Isole, isole, isole esplorate andando di baia in baia, trasgredendo necessariamente qualche divieto, per molti aspetti discutibili, come quello di fare campeggio libero o di allontanarsi di più di trecento metri dalla riva.
Un mezzo anarchico
“Ma il kayakista è anarchico, e la sua barca, anarchica come lui, lo invita a una serie di cose a mio avviso ecologiche ed educative”. Se questa è la condivisibile, e praticata, considerazione di Emilio Rigatti, ci piace ricordare anche l'insegnamento del pioniere del campeggio nautico, l'esploratore scozzese John MacGregor che nel 1866 pubblicò il primo reportage di viaggio fatto proprio con un kayak, a remi e a vela. "Camminando si è confinati da ogni mare e fiume, e in una comune barca a vela si è limitati da acque basse e rive; mentre una canoa può essere remata, navigata, trainata, trasportata sulla terra e sull'acqua ". Alla via così! a remi o a vela, purché di tratti di una piccola barca che regala grande libertà. * marinaio e scrittore; collabora con il mensile Bolina, autore di diversi libri dedicati all’Adriatico e di un breviario narrativo sul campeggio nautico: “Vela libre. Idee e storie per navigare in libertà”, 2012, Stampa Alternativa