Riecheggia la voce d’arte e di impegno politico di Dario Fo (1926-2016) e Franca Rame (1929-2013). Quel loro teatro unico di libertà, affabulazione, gramelot, di costante impegno civile e politico contro le oppressioni, torna a farsi corpo vivo. Avviene con il film documentario L’ultimo Mistero buffo realizzato dal romano Gianluca Rame (1974), nipote di Franca e Dario, autore e regista per la Rai (nel 2016, in concomitanza con la morte di Fo, realizzò 5 puntate per Rai5 sulla lunga vicenda dei due artisti).
La première dell’opera si tiene alla 17ª Festa del cinema di Roma (13-23 ottobre), nella sezione sperimentale “Freestyle”. E cade nel 25° anno della consegna del Premio Nobel per la Letteratura a Dario Fo (1997).
Ci racconti di lei Gianluca, a quale ramo della famosa famiglia appartiene?
«Sono un nipote di Franca Rame, figlio di Enrico, uno dei 4 fratelli, erede della famiglia di teatro viaggiante di mio nonno Domenico, capocomico. La famiglia girava nei paesi del Varesotto e tutti insieme, compresi mio padre e zia Franca, portavano in scena spettacoli semplici, popolari, che scrivevano e interpretavano, da comici viaggianti».
Lei però sembra prediligere la macchina da presa.
«Mi occupo di audiovisivo da sempre perché lo sento più vicino al mio modo di raccontare; lo affronto però in relazione alle arti performative; per la Rai, come per la
Biennale, o per il Teatro di Roma, ho sempre raccontato il teatro. Mio padre dopo gli anni da attore fu organizzatore e diresse pure lo Stabile di Trieste; mia madre, Antonietta Rame Gironi, per anni ha diretto il Teatro di Roma al tempo di registi come Squarzina, Enriquez, Ronconi, che ho avuto modo di seguire. Diciamo che il teatro ha permeato la mia vita; anche se faccio televisione, il teatro è casa per me».
Veniamo a questo suo “Ultimo Mistero buffo”.
«È quello del 1° agosto 2016 all’Auditorium di Roma; era previsto il 15 giugno, ma fu posticipato perché Dario stava male e rientrò a Milano. Teneva tantissimo a ripresentarlo, così il 1° agosto riuscì a salire sul palcoscenico. Tutti eravamo coscienti che sarebbe stato il suo ultimo spettacolo e fu un momento particolarmente emozionante. Nel backstage lo zio appariva affaticato ma, varcata la soglia della quinta, come accade ai grandi, recuperava forza ed energia e fece due ore di spettacolo. Qualche giorno dopo, a
Cesenatico, riuscì a inaugurare persino la sua
mostra su Darwin e a fare visite guidate».
Quale traccia ha seguito per il film?
«Abbiamo ripreso quell’ultimo spettacolo a Roma per costruire un documentario che racconta pure della lotta politica di Dario e Franca soprattutto negli anni Settanta.
Mistero buffo è stato il suo Sessantotto, la sua rivoluzione culturale. Abbiamo tracciato due linee narrative; una in Turchia, dove abbiamo incontrato una compagnia curda che nel 2020 è stata censurata e non ha potuto rappresentare a Istanbul la commedia “Clacson, trombette e pernacchi”. La polizia è entrata in camerino, ne è seguita una interrogazione parlamentare. Una seconda linea narrativa riguarda Buenos Aires dove abbiamo incontrato due giovani attivisti che hanno messo in scena
Morte accidentale di un anarchico, adattando il testo che era incentrato su Giuseppe Pinelli all’omicidio di Walter Bulacio, giovane assassinato dalla polizia argentina nel 1991».
Il racconto tratta quindi del teatro anche politico dei due maestri.
«Sì, dalla genesi della scrittura dello spettacolo del 1968 ci addentriamo nella contrapposizione politica che sostennero negli anni Settanta con tutte le conseguenze; per tanti anni vennero addirittura spiati e inseguiti per poterli collegare all’eversione; Franca subì violenza e stupro, Dario fu arrestato a Sassari...
Mistero buffo diventa un grande atto rivoluzionario in cui la cultura popolare viene elevata a cultura diffusa, motivazione principale che ha portato il Nobel a Fo. Il film è stato annunciato anche nel palinsesto di Rai3».
Collabora con la Fondazione Rame Fo?
«Sì, con Iacopo (il figlio) e Mattea (la nipote), mi occupo della tutela, della promozione, della valorizzazione della parte audiovisiva; gestiamo circa 400 ore di materiale audiovisivo di repertorio, non solo spettacoli ma anche lezioni, master, incontri con la gente. La cosa bella è che lavoriamo tutti nella stessa direzione, cercando di rispettare la linea e la coerenza di Dario e Franca».
Cosa di questi zii unici porta oggi dentro di sé?
«Dario e Franca mi hanno lasciato la loro coerenza morale, sono stati sempre estremamente rigorosi nel salvaguardare la loro libertà e non hanno mai diretto, per scelta, teatri che usufruivano di finanziamenti ministeriali. Al di là dell’artista, Franca è stata per me anche una zia molto cara e affettuosa, tanto vicina dopo la morte prematura di mio padre».