Rimini. Tour nel cimitero tra i riminesi illustri, quando il lavoro fatto si scriveva sulla lapide
Un tour tra i personaggi che vissero nella Rimini del passato, tra gli elementi architettonici espressione del riposo eterno, del passaggio da un mondo a un altro. Tra, Festival delle anime tra due mondi, organizzato da Amir in collaborazione con Comune e Provincia di Rimini, ieri mattina ha richiamato una cinquantina di persone all’ingresso del cimitero monumentale nel giorno dedicato alla festa di Ognissanti. Il tour guidato dalla storica dell’arte Michela Cesarini è partito dall’inizio, dal famelio, «il luogo - ha spiegato - in cui sono state seppellite le personalità celebri della città». La storia del cimitero di Rimini inizia nel 1813, con l’editto di Saint Cloud, emanato da Napoleone nel 1804, stabilendo che i morti andassero seppelliti fuori dalle mura della città. La differenza principale rispetto alle sepolture moderne sta nella generosità di parole scalfite nel marmo per raccontare la storia di quella persona che un tempo aveva vissuto proprio qui, a Rimini. E molto spesso il tratto distintivo era il lavoro che aveva svolto nel corso della vita, oppure le prodezze di cui era stato protagonista, magari combattendo per l’Unità di Italia. Niente a che vedere con la sintesi estrema di oggi: il nome e le due date di inizio e di fine.
Tra quelli omaggiati della “prima classe” nel cimitero riminese c’è Guglielmo Bilancioni, pittore riminese descritto come “cittadino di virtù antica onorò in patria e fuori l’arte italiana”. Non stupisce, purtroppo, che quelli seppelliti nel famelio così come in altri punti nevralgici del cimitero, fregiati da epitaffi ed edicole intitolate, siano quasi esclusivamente uomini. Tra questi René Gruau, genio del disegno di moda, protagonista della scena internazionale dell’Haute Couture del Novecento, il giornalista Sergio Zavoli, don Oreste Benzi, Lorenzo Cagnoni e lo stesso Federico Fellini. Ma nel famelio c’è anche Margherita Zoebeli, la fondatrice dell’asilo italo svizzero, che dedicò la sua vita ai bambini a partire dall’immediato Dopoguerra, quando Rimini non era che un cumulo di macerie.
E neppure le tombe vennero risparmiate dalla furia dei bombardamenti. Molte edicole, le costruzioni in stili diversi che ospitano al loro interno tutti i membri di una stessa famiglia, portano ancora i segni delle bombe, e tra queste anche quella del musicista Amintore Galli (a cui è dedicato il teatro architettato da Luigi Poletti), situata nel famelio, affacciata al viale principale.
Se è passeggiando tra le edicole che si scorgono esempi delle architetture più singolari, come quella in stile moresco della famiglia siculo - romagnola Galluzzi o quella in stile neogotico dei Diotallevi, è leggendo gli epitaffi sotto il colonnato all’ingresso sud che si coglie più facilmente il sapore della società di un tempo.
Qui riposano (cimitero, dal greco “luogo di riposo”), i membri della famiglia Fabbri, i proprietari della fornace che si ergeva vicino alla cava, quello che oggi è il lago del parco, appunto, detto “della cava”, o gli Urbani, i membri della famiglia dell’architetto Gaetano, dipendente comunale che ideò il Kursaal (un casino, questo è ciò che era allora e così è scritto nell’epitaffio) e anche Villa Solinas, imprese incise nel marmo con tanto di elogio alle sue doti come uomo e padre di famiglia. Poi ancora si leggono i successi e i drammi della famiglia Ghetti, quella del palazzo in cui oggi ha sede la banca Malatestiana in via XX settembre. Nicola, imprenditore e scalatore sociale che fondò la fabbrica di fiammiferi di cui registrò il brevetto, esportando merce in tutta Europa, perse la prima moglie, che morì di parto a 20 anni dando alla luce il secondo figlio. E poi, ultima ma non meno importante, la tomba di Domenico Francolini, politico, prima mazziniano poi anarchico, marito di Costanza Lettimi, sorella di Giovanni, pianista, che ricevette in eredità il palazzo che poi venne ceduto al Comune, col vincolo (da lascito testamentario) di farlo diventare sede del liceo musicale e che non venisse depredato del suo patrimonio. Il rudere sventrato dai bombardamenti che ancora si affaccia su via Tempio Malatestiano è la dimostrazione che non tutte le promesse, purtroppo, vengono mantenute.