Rimini. Profughi ucraini via dal Cas per viaggiare, il Tar: «Le misure di accoglienza rimangono»
Fuggiti dalla guerra in Ucraina ed ospitati in un centro di accoglienza nel Riminese, godevano delle misure di protezione temporanea destinate appunto ai profughi del conflitto contro la Russia, ma nel giro di un anno si sono allontanati 5 volte dal Cas «senza autorizzazione», in alcune occasioni anche lasciando soli i figli minorenni, tanto che, all’ennesima assenza, la Prefettura ha deciso di revocare le misure di accoglienza. Tuttavia, secondo il Tar a cui si sono rivolti i due coniugi, tutelati dall’avvocato Daniele Romiti, il provvedimento del Palazzo del Governo non è legittimo e deve quindi essere annullato. E così l’odissea umana affrontata dai due profughi si tramuta in un precedente legale di cui lo stesso Tribunale amministrativo regionale riconosce «la particolarità» statuendo la compensazione delle spese di lite. Ma, nel merito, a vincere è la coppia di ucraini, che ha sostenuto di essersi allontanata dalla struttura di accoglienza «solo per pochi giorni a causa di urgenti motivi di carattere familiare», giudicando la revoca delle misure speciali un «provvedimento sproporzionato rispetto al comportamento tenuto».
La vicenda
L’intervento drastico della Prefettura risale allo scorso 28 novembre: due giorni prima la cooperativa che gestisce il Cas dove erano ospitati i coniugi aveva segnalato l’ennesimo «allontanamento senza autorizzazione» dei due. Si trattava del quinto episodio di questo genere, come evidenziato dalla stessa Prefettura: il primo allontanamento dal Cas risale al 4 dicembre 2023, quando marito e moglie avrebbero lasciato «soli i figli minorenni». Circa un mese dopo, il 9 gennaio, un altro allontanamento «senza autorizzazione da parte della Prefettura per recarsi a far visita a parenti nella città di Roma», e il 15 aprile la partenza alla volta di Siena «dove la figlia maggiore frequentava l’università». Il 19 settembre 2024 il quarto episodio, il più singolare: i coniugi «si sono allontanati per qualche giorno senza autorizzazione, lasciando da solo il figlio minore presso la struttura», ma non solo, perché «in quell’occasione gli operatori hanno rilevato la presenza della madre» della donna, che però «non gode delle misure di accoglienza».
Le motivazioni
Insomma, quando la coppia si è nuovamente assentata «senza autorizzazione» a novembre, per la Prefettura la misura era colma. Ma la revoca è illegittima per il Tar: si tratta, scrive in sentenza il magistrato estensore Paolo Nasini, di un provvedimento che «ha natura sanzionatoria e, salvo ragioni di particolare urgenza», è necessario procedere prima ad una «interlocuzione procedimentale con lo straniero destinatario dell’eventuale revoca». Urgenza che, però, il Tar non ravvisa nel caso in esame. E nemmeno vi sarebbero stati gli estremi per procedere ad una revoca automatica, in merito alla quale il Tribunale si sofferma su un distinguo tra i concetti di «allontanamento» dal Cas e di «abbandono». Per i giudici, i coniugi non hanno mai avuto «la volontà di abbandonare il centro», visto che «nonostante i plurimi allontanamenti sono sempre ritornati a vivere» nel Cas. Al massimo si sarebbe potuto optare per provvedimenti più blandi previsti dalla legge in caso di violazione delle regole della struttura di accoglienza. Ma «in ogni caso - stabilisce la sentenza - per una violazione quale quella del mero allontanamento, ancorché ripetuto, non è possibile disporre la revoca» delle misure di accoglienza.