Ravenna. Una vita da mediano, Cavassa ancora in campo a 66 anni

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È una vita da mediano in cui gli ultimi capitoli sono ancora tutti da scrivere quella di Massimo Cavassa, che a 66 anni continua a scendere in campo con l’entusiasmo di un ragazzino. Sono migliaia, infatti, le “battaglie” a caccia di un pallone vissute dall’allenatore-giocatore del Bisanzio S. Michele, squadra di Terza Categoria ravennate che dal 1993 partecipa ai campionati ufficiali organizzati dalla Figc. E proprio domenica scorsa, a San Bernardino contro l’Ulisse&Penelope, l’inossidabile centrocampista ha dato il proprio contributo al pareggio per 1-1 della formazione blu-arancio.

L’ultima bandiera

Anche se gli acciacchi si fanno sempre più sentire, anche se è sempre più difficile gestire una società di calcio, anche se il gap generazionale con i compagni di squadra è molto ampio, “nonno” Cavassa non si ferma a guardare indietro e pensa alle prossime sfide, puntando a scendere in campo a 67 anni. «Come è capitato nell’ultima giornata - racconta - ogni tanto, quando mi sento bene, mi schiero nella formazione titolare. Io continuo ad allenarmi regolarmente tutte le settimane, aggiungendo al calcio anche l’attività sui campi da tennis, e quindi mi mantengo in forma più che posso. Mi inserirei anche a gara in corso, ma per un “vecchietto” come me, che ha anche il compito di allenatore, è impossibile. Non riuscirei a fare il giusto riscaldamento e quindi rischierei di farmi male».

Una cosa, questa, che però non è sempre piaciuta ai suoi compagni di squadra, in particolare ai più giovani. «L’anno scorso una parte del gruppo non apprezzava che togliessi spazio a loro e quindi nella seconda parte della stagione non ho giocato. Quest’anno invece ho messo in chiaro con i ragazzi che ogni tanto avrei dato il mio contributo e loro non hanno avuto problemi. Ho già fatto 4-5 presenze e punto a giocare più possibile, senza però creare malumori, anche perché quest’anno nello spogliatoio c’è un bel clima».

La storia della società

Il Bisanzio, in pratica, è una creazione di Cavassa e dei suoi amici, alcuni dei quali persi nel tempo. L’avventura iniziò nel 1993 a Piangipane, per poi trasferirsi a Punta Marina, mentre adesso il terreno di casa è quello di Lido Adriano. «Il mio sogno è sempre stato quello di coinvolgere San Michele, il paese in cui vivo, ma sembra sia una cosa impossibile da realizzare. Mi piacerebbe creare un vivaio, perché sono i giovani il futuro dello sport, ma il campo non è agibile e non c’è la disponibilità da parte della parrocchia. Un peccato, perché questo era l’obiettivo mio e dei due presidenti del passato, Gennaro Borneo e Giampaolo Bendandi, che purtroppo non sono più tra di noi».

La storia del Bisanzio, però, è anche ricco di gioie e vittorie. «Di sicuro le due promozioni in Seconda Categoria, con quella del 2011 che per me ha un significato ancora più grande: l’avevo promesso a mia madre, poco prima della sua morte. Poi ci sono le soddisfazioni quotidiane, quelle che vengono dalla passione per il calcio. Siamo in pochi a tirare avanti la baracca e io in pratica faccio tutto, dal lavare le maglie fino agli aspetti burocratici, come le iscrizioni ai campionati».

L’amore per la sua creatura Bisanzio ha fatto perdere anche alcune occasioni a Cavassa, che però non rimpianti. «Ho ricevuto tante proposte per andare ad allenare altre squadre, anche in categorie superiori come Eccellenza e Promozione, ma io ho sempre rifiutato perché voglio continuare a giocare. Sono 55 anni che lo faccio: ho iniziato negli anni Settanta nel settore giovanile del Savarna e poi ho disputato tanti campionati in Prima, Seconda e Terza Categoria, tra Fosso Ghiaia, Santerno e Santo Stefano. Poi a inizio anni Novanta sono passato agli Amatori, a San Pancrazio, dove ho conosciuto Borneo. È con lui che c’è stata l’idea di fondare una società tutta nostra».

Ed è così che è nato il Bisanzio. «All’epoca andavo in curva a Ravenna, nella Fossa Bizantina. È per questo che abbiamo scelto questo nome, in quanto era un mix tra la grande storia della nostra città e la parte più calda del tifo giallorosso. Con una squadra in un campionato della Figc, avremmo avuto anche più visibilità rispetto agli Amatori».

I nuovi progetti

In tutti questi anni, il calcio ha però modificato tantissimo la propria pelle. «Un po’ sono cambiate le regole, con i tesserati che possono cambiare maglia ogni anno, un po’ i giovani stessi, capaci di guardare il cellulare anche durante l’intervallo, un po’ il modo di insegnare a giocare, con sempre maggiore fisicità e meno tecnica, con l’unico obiettivo di vincere a qualsiasi categoria di età. In questa maniera ne ha risentito il livello di gioco, sempre più basso. Ma questo non mi toglie la voglia di stare a contatto con i più giovani. Ho sempre riso e scherzato con loro, anche per motivi di lavoro. In passato ho gestito numerosi locali e facevo il barista nelle discoteche delle località di mare, dallo Xenos al Banana Republic».

A 66 anni, per Cavassa è tempo di decidere cosa fare da “grande”. «La mia intenzione è quella di continuare a giocare, anche se più di una volta ho pensato che questo potrebbe essere l’ultima stagione. È complicato creare una rosa, con ragazzi che abbiano senso di appartenenza, e molto dipenderà dalle mie condizioni fisiche. Il mio sogno è vivere emozioni come quella del 1992 a Udine, quando grazie un rigore segnato da me la mia squadra di Amatori vinse il campionato Over 35. Solo il calcio ti può regalare queste gioie».

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