Licio Gelli finanziatore della strage di Bologna. I giudici: «Senza ombra di dubbio»
BOLOGNA. «Senza ombra di dubbio Licio Gelli è il consapevole finanziatore della strage di Bologna, e tale circostanza spiega il movente dell’attività calunniosa e depistatoria da lui posta in essere, unitamente ad alti funzionari dello Stato, proprio in relazione alla strage di Bologna». Lo scrivono i giudici della Corte d’Assise d’appello bolognese nelle motivazioni della sentenza con cui, lo scorso 8 luglio, hanno confermato la condanna all’ergastolo di Paolo Bellini per concorso nell’attentato del 2 agosto 1980, quella a sei anni per depistaggio a carico dell’ex capitano dei Carabinieri Piergiorgio Segatel e quella a quattro anni per false informazioni al pubblico ministero nei confronti di Domenico Catracchia, ex amministratore di condomini in via Gradoli a Roma. Sul punto, i giudici ricordano che «Gelli è stato condannato in via definitiva, unitamente a Pietro Musumeci, Giuseppe Belmonte e Francesco Pazienza, per il reato di calunnia in relazione all’opera di depistaggio delle indagini sulla strage», sottolineando che «nell’articolata motivazione della sentenza definitiva si è posto l’accento sul fatto che l’attività di depistaggio venne condotta dai servizi segreti ‘deviati’, di fatto diretti dalla loggia P2». Questa attività, si legge, «trova evidente spiegazione nel fatto che Gelli era direttamente coinvolto nella strage, quantomeno quale finanziatore», dunque «aveva anche il preciso fine di evitare che le indagini potessero svelare il suo personale coinvolgimento, oltre che il coinvolgimento di altissimi funzionari dello Stato, nella strage: circostanza che, a sua volta, spiega l’incontro- richiesto e immediatamente ottenuto- tra il suo avvocato Fabio Dean e Umberto Pierantoni (all’epoca direttore centrale della Polizia di prevenzione, ndr) avvenuto il 14 ottobre 1987».
In quell’incontro, stando a quanto riportato in un appunto per il ministro dell’Interno firmato dall’allora capo della Polizia Vincenzo Parisi e noto come ‘Documento Artigli’, il legale di Gelli disse che «se la vicenda (le indagini a carico dello stesso Gelli in relazione alla strage del 2 agosto, ndr) viene esasperata e lo costringono necessariamente a tirare fuori gli artigli, allora quei pochi che ha li tirerà fuori tutti». Nell’inchiesta sfociata nel processo a Bellini, Segatel e Catracchia, Gelli era indicato dagli inquirenti, assieme al suo braccio destro Umberto Ortolani, all’ex direttore dell’Ufficio Affari riservati del ministero dell’Interno Federico Umberto D’Amato e all’ex senatore del Msi e direttore del settimanale ‘Il Borghese’ Mario Tedeschi come uno dei mandanti, organizzatori e finanziatori della strage, anche se tutti e quattro sono morti da anni e quindi non più imputabili. Nel ricostruire il ruolo di Gelli, i giudici della Corte d’Assise d’appello bolognese sottolineano che, pur non essendoci prove dirette dei passaggi di denaro tra i finanziatori e gli esecutori materiali dell’attentato, «da quanto riportato nell’appunto ‘Bologna’ e dalle conseguenti indagini della Guardia di finanza» è emerso che Gelli versò un milione di dollari in contanti dal 20 al 30 luglio 1980 al suo factotum Marco Ceruti, 850.000 dollari a un certo ‘Zaff’ (identificato come D’Amato «in base alla accertata predilezione» dello stesso D’Amato, «gourmet ed editorialista in materia», per lo zafferano) prima del 22 agosto 1980 e 20.000 dollari “a tale ‘Tedeschi’”, ritenuto appunto Mario Tedeschi. Quest’ultima somma, secondo i giudici, sarebbe stata «il corrispettivo per la redazione di articoli a supporto mediatico delle strategie di Gelli anche relative alla strage di Bologna».
Infine, i giudici della Corte d’Assise d’appello di Bologna ritengono provato che Gelli versò a saldo, sempre a Ceruti, altri quattro milioni di dollari a partire dal 22 agosto 1980 «in relazione all’operazione ‘Bologna’». Peraltro, in relazione al milione versato in contanti a Ceruti tra il 20 e il 30 luglio 1980, nelle motivazioni si ricorda che il 30 e il 31 luglio 1980 Gelli e Ceruti si trovavano a Roma, dove erano presenti anche Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, condannati in via definitiva come esecutori materiali della strage del 2 agosto. Di conseguenza, concludono i giudici, «in uno di questi giorni è stato possibile consegnare a loro, o ad un loro emissario, il compenso in denaro pattuito per commettere la strage».