I Re Magi a Rimini. «Io, sopravvissuto al barcone in mare e al carcere in Libia»
«Io sono musulmano, ma le persone vengono prima delle religioni». Youlsa Tanagara, 38 anni, è originario di Neguena, un piccolo villaggio del Mali. Nel 2014 è sbarcato da migrante a Lampedusa, in fuga dalla guerra e dalle persecuzioni politiche, e da quel momento ha iniziato a costruire la sua nuova vita in Italia, sempre legato a doppio filo con la sua gente. Quando è arrivata l’opportunità (nell’ambito dell’evento “In viaggio con i Re magi”, andato in scena il giorno dell’Epifania) di impersonare Baldassarre, il re che portava in dono la mirra al bambin Gesù, ha subito acconsentito: il senso era quello di «rappresentare la rinascita e la speranza nel dramma della storia». Perché la sua stessa storia, di dramma e di rinascita, ne ha davvero da vendere.
«Il viaggio per arrivare in Italia è durato un anno - racconta Youlsa, che ora fa il guidatore di Tir e presiede un’associazione con cui finanzia interventi nel suo villaggio natale - sono arrivato prima in Libia, dove mi sono dovuto fermare per otto mesi, a lavorare per mettere da parte i soldi per il viaggio in Italia e anche rinchiuso nelle carceri. In Libia è l’anarchia: gli scafisti possono tenerti prigioniero per mesi, fino a quando non hanno ottenuto tramite estorsione abbastanza soldi dalle famiglie dei loro “prigionieri”. Ci torturavano, ci picchiavano tutti i giorni, ci mettevano addosso la plastica rovente e mentre ci torturavano facevano sentire la nostra voce alle nostre famiglie, per convincerli a mandare soldi. Dopo un po’ sono riuscito a partire», racconta Youlsa, ripercorrendo dieci anni di vita in un italiano pressoché perfetto, «ma il viaggio sulle onde del Mediterraneo non è andato liscio».
«Imbarchiamo acqua»
Prima di sbarcare sulle coste italiane, Youlsa e i suoi compagni di viaggio, su un gommone malandato in mezzo al mare, hanno visto la morte in faccia. «La barca si era rotta, entrava l’acqua: per miracolo siamo riusciti con un secchio a ributtare in mare tutta quella che era entrata e a coprire il buco con i nostri vestiti». Poi, dopo un paio di «infiniti» giorni di navigazione, i migranti hanno incontrato la «nave della Guardia costiera italiana che ci ha recuperati e salvati. Finché non sono salito sulla nave non ci credevo che era vero. Non vedevo l’ora di scendere e toccare terra. Io, che prima di allora non avevo mai visto il mare».
In tutto sono stati tre i giorni interi di viaggio, che possono sembrare tanti per attraversare un tratto di mare non estesissimo, ma considerando che Youlsa e i suoi compagni di avventura erano «soli, abbandonati alla deriva, a noi stessi, con una bussola, una cartina, del carburante e l’indicazione fornita da uno scafista, ovviamente rimasto a terra, “andate in quella direzione, così si raggiunge l’Italia”», sembrano un periodo di tempo ancora più dilatato. «Non lo farei un’altra volta» ironizza Youlsa, che dopo aver messo piede sulla terra ferma, dalla Sicilia lo Stato lo ha spostato a Bologna, dove si trova tuttora e dove ha fondato l’associazione “Yeredementon”, che significa mutuo aiuto, grazie alla quale nel 2023 è riuscito a terminare la costruzione nel suo villaggio di una scuola media. «Io sono stato molto fortunato, sono stato l’unico del mio villaggio a finire le scuole, facendomi tutti i giorni otto chilometri a piedi. Ho voluto costruire la scuola perché è giusto che tutti abbiano l’opportunità che ho avuto io, ed è sempre per questa ragione che ho intenzione di costruire una scuola agraria dove i ragazzi possano imparare a coltivare il terreno».
Il sogno
Youlsa, sbarcato a Lampedusa l’11 dicembre di dieci anni fa, «con il freddo dell’inverno», non si è mai abbattuto. «A Bologna ho subito cercato lavoro e mi sono impegnato per riuscire a imparare l’italiano, poi ho fondato la mia associazione e dopo alcuni anni ho iniziato a impartire lezioni teoriche per la scuola guida online. Aiuto le persone originarie della Guine, del Senegal, del Burkina Faso, della Costa d’avorio e del Gambia a studiare per prendere la patente B. Per un periodo ho anche frequentato l’università a Bologna, ma ho dovuto lasciarla per via del lavoro». Il sogno che coltiva Youlsa, infatti, è quello di guadagnare quanto necessario per costruire la scuola di agraria e a quel punto tornare in Mali, dove nel frattempo si è sposato e ha avuto un figlio, che ora ha due anni.
«Massimo cinque anni e torno a casa per restare», dice Youlsa sorridendo e ricordando a se stesso che prima di scappare per salvarsi la vita e diventare profugo alla deriva su un barcone è stato uno dei nipoti dell’ultimo re del reame del Mali in cui vive la sua famiglia.
«La sua storia è pregnante - commenta Donatella Magnani, presidente dell’associazione Il Brillio, partner dell’evento dell’Epifania, organizzato da Made Officina creativa - densa di significato. Un vero Re magio, portatore di speranza per l’avvenire».