Covid: 5 anni fa l’inizio della pandemia, Angelini: «Come l’11 settembre tutti ricordiamo dove eravamo quel giorno. I medici passati da eroi a bersaglio»

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Cinque anni fa il “paziente 1” di Codogno. Pochi giorni dopo i primi casi in Romagna, tra Rimini e Lugo. Poi il triste bollettino serale, con la curva dei contagi e i primi morti. Le foto dei medici e degli infermieri eroi, il lockdown e le zone rosse. Sembra passata una vita e invece sono trascorsi solo 5 anni da quella pandemia che stravolse le esistenze e le certezze di un intero pianeta. In Emilia Romagna - stando ai dati Istat aggiornati al giugno 2023 - i contagiati furono 1.200.000 su una popolazione di circa 4,5 milioni. I morti furono 15.600, più di 8 milioni i tamponi antigenici processati in mesi dove il tracciamento si rivelò praticamente impossibile.

Volto e voce della Sanità pubblica romagnola in quei giorni era Raffaella Angelini. Oggi in pensione, ieri responsabile del dipartimento dell’Ausl Romagna che si trovò a gestire un’emergenza sanitaria fino ad allora inimmaginabile.

Dottoressa, inutile chiederle se ricorda quel 20 febbraio 2020.

«Credo che tutti ricordano il momento e il luogo esatto in cui si trovavano il giorno in cui ebbero la notizia del primo contagio italiano, quello del paziente 1 di Codogno. Un po’ come avvenne per il crollo delle torri gemelle a New York, tutti ricordiamo quell’11 settembre.

Come reagì a quella notizia?

« Speravamo di poter bloccare il virus monitorando l’ingresso dalla Cina, i nostri sforzi si erano concentrati sulle frontiere, ma in un mondo così globalizzato era impossibile. La realtà – ma quello lo abbiamo capito dopo – era che il virus circolava in Italia da tempo».

Anche in Romagna?

«Ma certo. Il primo contagio certificato fu quello di un ristoratore del Riminese. Ma da mesi all’ ospedale di Rimini era pieno di ricoverati con polmoniti gravi di cui non capivamo le cause».

Era covid?

«Certo, così come era covid la causa di tutte quelle polmoniti a Bergamo. Il virus era entrato in Italia da mesi. Ma su questo mi permetta una parola: il covid19 è il virus, mi perdoni il termine, più bastardo che ci potesse capitare. Uno dei pochi che si trasmette anche da asintomatici. Capisce che il tracciamento diventa impossibile».

Il momento più difficile quale è stato ?

«Quando vedi morire gente che conosci, gente che era in piena salute»

Ha mai avuto paura in quei mesi?

«Sì»

Quando?

«Alla fine dell’estate del 2020. La stagione calda era andata bene, con i contagi quasi scomparsi, ma a settembre arrivò una variante ancor più virulenta e a Natale il tracciamento saltò, eravamo completamente soverchiati dai contagi. Fu una bella botta per tutti, con una variante più aggressiva e i contagi che schizzarono in alto»

Quando capì, invece, che ce l’avevamo fatta?

«Semplice; quando arrivò il vaccino. Molti lo dimenticano, ma la risposta della comunità scientifica è stata incredibile. Mai si era arrivati a mettere a punto un vaccino in quei tempi. Un vaccino che si è poi dimostrato totalmente sicuro e efficace»

Crede che l’opinione pubblica se lo sia dimenticato?

«Credo di sì. Credo abbia rimosso quel periodo e ciò in parte è comprensibile. Il problema però è che tutto questo vocìo attorno ai dati scientifici ha creato una sorta di paura che mi preoccupa. Penso a persone anziane salvate dal vaccino e con gravi patologie che ora preferiscono non vaccinarsi, correndo rischi».

Tornando indietro c’è qualcosa che gestirebbe in maniera diversa?

«Me lo sono chiesto tante volte. Di sicuro in quei momenti eravamo come in guerra. E la massima competenza aveva bisogno anche di decisioni veloci».

Sono momenti in cui si dice che emerga il meglio e il peggio di una società, fu così?

«Sì, fu così. Io credo che, soprattutto nella prima fase, emerse il meglio di questa terra. Come competenze, coraggio e sacrificio. Ricordo i medici e gli infermieri che lavoravano vestiti come palombari per 12 ore al giorno, sette giorni su sette. Non c’era nemmeno bisogno di chiedere la disponibilità. Ma poi quelli che erano considerati eroi verso la fine della pandemia sono stati offesi e considerati responsabili delle restrizioni alle libertà dei singoli. Vorrei ricordare che arrivammo persino a doverci difendere contro gli attacchi notturni agli ambulatori.

Non c’è molto da ricordare, è successo anche stanotte (ieri per chi legge ndr) a Cesena

«Davvero? Stanotte? Ecco, questo mi fa male».

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