Bracciante trovato morto nel fiume Uso, buco di 48 ore dopo il pranzo in famiglia

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Persistono numerose incognite sulla morte di Abderrahman Hamdane, il 48enne marocchino trovato cadavere nelle acque del fiume Uso, nel territorio comunale di Bellaria. A partire dalla sua scomparsa, nel primo pomeriggio di domenica 27 ottobre, che segna ben 48 ore di buco rispetto al momento del rinvenimento del corpo, il martedì 29. Inizialmente, il caso del bracciante, arrivato in Italia giusto una ventina di giorni prima della sua morte, era apparso come un tragico incidente, col sospetto addirittura di un gesto volontario. Ma l’esito dell’autopsia eseguita dal medico legale Loredana Buscemi ha aperto uno squarcio inquietante: quello del legaccio stretto intorno al collo e delle percosse che lo hanno condotto alla morte. Nell’incertezza che regna un aspetto è però chiaro e cristallino: quando Hamdane è finito nel fiume non respirava già più, perché nei suoi polmoni non c’è traccia di acqua.

Ecco che quindi si addensano le domande a cui i carabinieri del Nucleo investigativo di Rimini, coordinati dalla Procura, sono chiamati a rispondere. A ritardare le ricerche già in un primo momento è stata la mancata denuncia della sua scomparsa da parte della famiglia, composta dai fratelli della moglie, rimasta in Marocco in attesa di raggiungere il marito una volta stabilizzata la situazione economica. Il 48enne aveva lasciato i parenti con cui aveva condiviso il pranzo domenicale per andare a fare una passeggiata, ma né il pomeriggio, né la sera, lo hanno visto fare ritorno. Nelle poche settimane che aveva condiviso con loro, vivendo nel casolare in via Cassandra, a poca distanza dal luogo in cui è stato trovato morto, era già capitato che si trattenesse di più, magari per svolgere qualche lavoretto occasionale, motivo per cui i cognati non si erano subito preoccupati. Col passare delle ore però l’avevano iniziato a cercare, perlustrando i campi, le strade e i sentieri di campagna che l’uomo, a piedi, avrebbe potuto raggiungere. Le ricerche però non hanno dato alcun frutto. Solo un paio di giorni dopo degli operai che stavano sfalciando l’erba nei pressi di via Donegallia si sono accorti del corpo di un uomo che galleggiava nel fiume.

Ora, con le indagini in pieno fermento, si punta a rispondere alle domande che ancora restano insolute: in primis l’ora del decesso, che potrebbe essere avvenuta subito dopo aver raggiunto l’argine del fiume oppure anche diverse ore più tardi, quando in aperta campagna era buio e c’era la nebbia a confondere i contorni di un paesaggio che per il marocchino era ancora sostanzialmente sconosciuto.

La permanenza in acqua non aiuta la datazione della morte e nemmeno la ricostruzione delle azioni fatte quel giorno. Perché dopo il pranzo nessuno l’ha più visto e ad Hamdane potrebbe essere successo di tutto: potrebbe essersi imbattuto in un manipolo di malintenzionati (ma è da notare che portafoglio e cellulare sono stati trovati tra i suoi effetti personali) e il pestaggio potrebbe essere finito male per via della corporatura esile e magrissima dell’uomo. Oppure, potrebbe avere visto cose che non doveva vedere. Di certo, gli inquirenti tendono ad escludere che nel breve tempo di soggiorno in Italia possa essersi fatto dei nemici. A sentire i cognati, nemmeno in patria nascondeva scheletri nell’armadio e la notizia della sua morte e dell’ipotesi di omicidio è stata per loro un autentico fulmine a ciel sereno.

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