Non è mai tardi per riparare invece che buttare, ritrovare invece che lasciare andare, rinnovare invece che lasciare decadere: in una parola recuperare. Una scelta di vita ed anche un lavoro, un nuovo mestiere, in affiancamento a quello dell’home stager. Ce lo racconta la forlivese Sonia Bedei, classe 1967, designer di recupero: la sua è una storia di empowerment femminile, un concetto che si potrebbe tradurre velocemente con “forza delle donne”. Si tratta di acquisire consapevolezza delle proprie capacità, utilizzarle al meglio per ottenere il ruolo che si desidera.
Sonia, la sua storia è proprio questa. Un percorso che l’ha portata alla realizzazione di sè…
«Ognuno ha la propria storia, le proprie prove da superare nella vita. In particolare la vita delle donne è incentrata sul dover trovare un equilibrio tra quello che ci hanno insegnato, tra quelli che ci hanno trasmesso come doveri, i ruoli che ci sono stati imposti e la possibilità e la capacità di uscire da tutto questo per scoprire quello che si è veramente. È quello che è accaduto a me».
Lei chi è?
«Una donna che ha sempre amato l’espressione artistica ma che per tanti motivi non ha mai potuto assecondare pienamente questo aspetto, farlo diventare un vero lavoro. Fino a qualche anno fa».
Facciamo un passo indietro…
«Fin da ragazzina sono stata divisa tra il desiderio di fare arte e la necessità di pagare le bollette. I miei genitori e la mia famiglia hanno sempre fatto parte del mondo enogastronomico e per potermi mantenere ho sempre lavorato in questo settore, cercando allo stesso tempo di coltivare la mia creatività. Mi sono diplomata in stilismo, in un istituto tecnico di Forlì che oggi non esiste più e che è equiparabile a un istituto d’arte. Poi ho preso anche il diploma di costumista dopo un corso che si svolgeva dentro alla sartoria del teatro comunale di Bologna, un’esperienza formativa meravigliosa. Sempre divisa tra il mondo della ristorazione e la passione per l’arte».
Poi cosa è accaduto?
«Non è stato immediato, stiamo parlando di anni. Ero una ragazzina, adesso sono una donna. Alla viglia del primo lockdown stavo per ottenere il mio contratto a tempo indeterminato come dipendente in un locale della città. Poi è accaduto quello che tutti sappiamo, le chiusure, le restrizioni. Anche io costretta dentro casa, a fare i conti con me stessa. Sui social ho contattato la home stager di Faenza Roberta Cattani. Ho iniziato a seguire on-line un corso di home staging e compatibilmente con quello che era permesso uscivamo e facevamo dei sopralluoghi di lavoro. Stava cominciando la mia rinascita sotto ogni punto di vista. Oggi affianco gli home stager negli allestimenti di bar e ristoranti, occupandomi nello specifico di recupero. Ho trovato il mio spazio».
Non è un caso che è di fatto al servizio creativo di quel mondo dove ha sempre lavorato?
«Esattamente, quei tasselli che apparivano disordinati e disconnessi tra loro hanno trovato una sistemazione precisa. Conosco bene il mondo di chi gestisce dei locali, le complessità che ci sono al di qua del bancone. Riesco ad ascoltare, ad entrare facilmente in empatia con i miei clienti che a loro volta devono rapportarsi al meglio con i loro clienti. Così ho rifatto il look a tanti ristoranti e bar che nel frattempo sono ripartiti, con esigenze cambiate. È il recupero rappresenta il fulcro di un nuovo inizio, la possibilità di poter ripristinare quello che ha già avuto una storia ma alla luce di nuove possibilità».
Cosa la gratifica di tutto questo?
«Il fatto di potermi fare interprete dei gusti di chi mi commissiona il lavoro, di chi ha degli spunti in testa ma non ha gli strumenti per tradurli concretamente. Il mio gusto non conta, conta quello dei clienti e la mia capacità di saperlo restituire in un allestimento di recupero».
Lei ha realizzato il suo sogno, c’è qualcosa che ancora desidera?
«La figura del designer di recupero è ancora poco richiesta. Diverse scuole ancora non rendono giustizia a questa specializzazione dell’home staging. Mi piacerebbe che venisse sviluppata la formazione in tal senso. È poi mantenere sempre viva la collaborazione con quello che io definisco l’artegianato locale, quella commistione tra arte e artigianato che valorizza le specificità di ogni territorio».