Maurizio Viroli racconterà la presidenziali Usa su Raitre: “Sono le elezioni della paura”
Maurizio Viroli, storico del pensiero politico e professore emerito dell’Università di Princeton, vive negli Stati Uniti da oltre trent’anni. È originario di Forlì e l’abbiamo raggiunto al telefono. In questi giorni è in Romagna e il prossimo 6 novembre commenterà in diretta su Rai Tre le elezioni americane. «La prima campagna elettorale che ho vissuto in prima persona negli States fu nel 1988 – racconta –. Da allora non ho mai assistito a un dibattito così dominato dalla paura come questa volta. I sostenitori di Kamala Harris temono il ritorno di Donald Trump al Campidoglio che nel gennaio del 2021 fu teatro di un drammatico assalto alla democrazia. Hanno paura che alla Casa Bianca arrivi una persona che non mostra alcun rispetto della legalità. La stessa candidata democratica ha più volte ribadito la convinzione che Trump, in caso di elezione, attaccherà le libertà fondamentali e si scaglierà contro i dissidenti e le minoranze».
La società americana appare divisa in due e le opposte fazioni non si parlano. Chiariti quali siano i timori dei democratici, cosa invece si aspettano i repubblicani da un’eventuale vittoria?
«I trumpiani amano l’aggressività di Donald e si aspettano che una volta alla Casa Bianca dia una bella lezione ai progressisti americani. Confidano che espellerà molti immigrati e caccerà quelli che sono arrivati da poco. Trump ha una passione che si chiama Odio. È un leader populista e nazionalista; la sua priorità è assicurarsi il consenso dei compatrioti. Si è innanzitutto preoccupato di conquistare la fiducia delle classi più deboli della società americana, le meno scolarizzate. Gli ha regalato un’illusione, il famoso Make America Great Again (Maga). I suoi sostenitori rappresentano per lo più la parte di società più povera e in difficoltà. Aspirano a sentirsi grandi e per loro Trump è la risposta».
C’è chi teme che l’eventuale secondo mandato di Trump sia più dirompente del primo?
«Il ritorno alla Casa Bianca del magnate americano sarebbe accompagnato da un grande desiderio di vendetta contro coloro che, a suo giudizio, si sono resi colpevoli di brogli elettorali per sottrargli la vittoria nel 2020. La sua priorità è fargliela pagare cara. Dal punto di vista economico, invece, propone una svolta isolazionista. Chiuderà i confini e cercherà di porre fine alle guerre in corso, sia in Medio Oriente che in Ucraina. Parlerà con leader come Putin, che lui stima e rispetta».
Come vede la politica italiana di fronte a un’elezione che è seguita con grande interesse in tutto il mondo?
«Il nostro Paese non si libera di una sorta di sudditanza nei confronti degli Stati Uniti; soprattutto negli ultimi anni non abbiamo mostrato una visione autonoma, anche adesso la politica italiana ha un atteggiamento prudente e attendista, in attesa di capire chi sarà a prevalere. Un discorso a parte deve essere fatto per i leader espressamente nazionalisti, sia italiani che europei, che non nascondono il loro sostegno per Trump. Se vinceranno i repubblicani avremo un nazionalismo trionfante dove si potrà vedere di tutto, tranne che l’emancipazione e il riscatto delle classi sociali più deboli. Io sono cittadino italiano e americano e sono preoccupato per entrambi i Paesi».
Il mondo si sta addentrando in scenari inesplorati?
«La storia ci viene in aiuto. In questo momento, a livello internazionale, vedo forti analogie con gli anni Venti e Trenta del secolo scorso e, come sappiamo, non è andata a finire bene».
I sondaggisti prevedono un testa a testa all’ultimo voto, secondo lei è possibile fare una previsione su chi sarà il futuro presidente degli Stati Uniti?
«Poco tempo dopo l’ufficializzazione della candidatura di Kamala Harris ho azzardato la previsione che sarebbe stata lei la prossima presidente. L’ho scritto in un articolo per una rivista che nasce in Romagna ed è diretta da Sauro Mattarelli. L’ingresso di Kamala alla corsa per la Casa Bianca è stato travolgente. Ha suscitato un entusiasmo enorme. Ad esempio, in termini di donazioni per la sua campagna elettorale, ha ricevuto molto più fondi del suo avversario. Col passare del tempo però, Trump è riuscito a recuperare terreno, il che rende ora l’esito molto incerto. Non si è ancora capito se sia stato per merito del repubblicano oppure perché la contendente non sia riuscita a tenere il passo. Credo che nella serata del 5 novembre non avremo subito un responso. Negli Usa si dice, “too close to call”: significa che i contendenti sono troppo ravvicinati per dichiarare subito un vincitore».