Forlì. Smart working dopo l’infortunio, il lavoratore vince la sua battaglia

Forlì

Il giudice di Mantova ha dato ragione a Gianluca Grandini, operaio della Marcegaglia Specialties che aveva chiesto di svolgere la sua mansione in smart working perchè aveva maturato una sorta di avversione per il luogo di lavoro dove aveva avuto un infortunio nel 2004 che gli aveva lasciato una invalidità alla gamba del 40% oltre a una sindrome ansiosa depressiva.

Il giudice Simona Gerola (l’udienza si è tenuta a Mantova dove la Marcegaglia ha la sede legale) ha riconosciuto come fondato il ricorso presentato dall’avvocato Giuseppe Mazzini del Foro di Forlì-Cesena che tutela Grandini: l’operaio ha diritto, come specificato dal medico competente dell’azienda, di lavorare da casa perchè la sua patologia è riconosciuta da più certificati. Nonostante questo, per venire incontro alla multinazionale che ha sempre negato la possibilità di smart working per i suoi dipendenti, l’uomo ha accettato di svolgere l’attività nella modalità agile per almeno tre giorni alla settimana, mentre negli altri due si recherebbe in azienda.

La sentenza

Nella sentenza è stato riconosciuto il diritto del dipendente ad espletare la propria attività lavorativa da remoto, oltre al pagamento delle spese sostenute. La Marcegaglia, che ha un importante stabilimento a Forlì, era tutelata dall’avvocato Giuseppe Bologna. La giudice Gerola ha dato completamente ragione all’operaio, quindi, che poi volontariamente ha voluto limitare a tre giorni alla settimana l’attività di smart working per andare incontro alle richieste di conciliazione che il magistrato aveva espresso anche nelle precedenti udienze. Un modo per chiudere la vicenda, escludendo un possibile ricorso della Marcegaglia, che avrebbe richiesto altre udienze e spese. In sedici pagine il giudice ha accolto la tesi dell’avvocato Mazzini, concedendo minimo tre giorni alla settimana di smart working a tempo indeterminato.

Una sentenza che potrebbe rappresentare un caso unico o quasi del genere in Italia. L’azienda chiedeva di non concedere lo smart working, in ultima istanza proponeva due giorni alla settimana ma fino al termine del 2025.

La storia

La vicenda di Gianluca Grandini inizia nel 2004: l’uomo, all’epoca 33enne, rimase con la gamba schiacciata da un rotolo di lamiera, riportando una invalidità del 40% e anche uno stato ansioso depressivo, tenuto negli anni sotto controllo con l’aiuto di farmaci, ma esploso nell’ultimo periodo, tanto da provare un malessere fisico e psicologico all’arrivo nello stabilimento di via Mattei. Da qui la richiesta del suo avvocato Mazzini di concedere lo smart working, attuabile per il tipo di lavoro amministrativo del cliente. Possibilità negata per politica aziendale dal datore di lavoro. Inutile ogni tentativo di accordo, fino alla decisione del lavoratore di fare causa alla ditta.

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